La scorsa primavera è capitato un fatto curioso qui a Zénon, all’inizio di una lezione. Uno degli abitanti del condominio di fronte a noi aveva avuto la pessima idea di chiudere sul balcone il proprio cagnolino, che come ogni cane di piccola taglia si dimostrò particolarmente suscettibile agli stimoli. In parole povere, non la smetteva più di abbaiare.
Quando entrai nella sala si poteva palpare l’insofferenza dei presenti. In effetti, erano un grumo di tensioni pronte a esplodere, in cui gorgogliavano pensieri di vendetta sul povero animale e sul padrone, che qui risparmio (si sa, i propositi di non violenza verso gli esseri viventi sono sempre soggetti a numerose eccezioni).
Senza sperare nulla e – come si suol dire dalle mie parti – “per non sapere né leggere né scrivere”, li feci sedere e chiudemmo tutti gli occhi, orientando l’attenzione al corpo e al respiro. Era un tentativo, un diversivo, se vogliamo, e forse proprio l’alta tensione in sala servì da stimolo per capovolgere la situazione. Sta fatto sta che funzionò ben oltre le aspettative: ci rilassammo cedendo ogni sforzo tanto che calò un silenzio irreale, sia dentro che fuori la sala. Non potei trattenere la battuta: “In realtà, il cane sta ancora abbaiando, ma noi non lo sentiamo più…”
Spesso riteniamo che la possibilità di rilassarsi dipenda dall’assenza di stimoli esterni. O meglio, che in presenza di determinati stimoli non ci si possa proprio rilassare. Gran parte della violenza tra il vicinato, non necessariamente fisica, nasce da questo.
In realtà, anche se un martello pneumatico sotto la finestra o un pessimo padrone di cani non sono di aiuto, è possibile accedere a uno stato di rilassamento pressoché in qualsiasi momento. D’altro canto, anche il contrario lo dimostra: spesso anche in assenza di elementi di disturbo non riusciamo a rilassarci, perché la nostra mente è ancora assetata di azione e di pensiero, non vuole deporre le armi.
E questo è un altro punto: la possibilità di rilassarsi dipende dalla capacità di rivolgere i sensi all’interno. Nello Yoga questa fase si chiama pratyahara. Ma per potervi accedere, occorre esaurire la sete di stimoli. È proprio per questo che a volte proprio un climax di tensioni e di insofferenza può essere trasformato nel preludio al rilassamento stesso. In alcune pratiche, la mente viene lasciata vagare attraverso suoni e pensieri, finché non esaurisce l’interesse per tutto ciò che proviene dall’esterno, così come viene fatta ruotare lungo il corpo perché perda contatto con il corpo stesso.
Quindi, gli stessi elementi che in condizioni normali sarebbero considerati fattori di disturbo, sono al tempo stesso un potenziale mezzo per superarli. O meglio, per superare la nostra reattività e suscettibilità agli stimoli che è spesso molto simile a quella del cagnolino abbandonato sul balcone di cui sopra. E, per fortuna, altrettanto addestrabile, con un po’ di pazienza.
E allora, ecco il rilassamento, che è condizione indispensabile perché cose fuori dall’ordinario accadano e si lascino compiere. E perché i processi profondi riprendano a scorrere, invece di accumulare.
È insomma – secondo la mia modesta opinione – l’immagine di Vishnu dormiente tra due Ere, che si abbandona alle correnti dell’Oceano Cosmico, sopra il serpente Ananta (“infinito”), che in condizioni normali sostiene tutti i pianeti: il rilassamento è, anche nell’infuriare tempestoso dell’atto, trovare uno spazio in cui lasciarsi riassorbire dalla potenza.
Sabato 24 ottobre alle 16:30, qui a Zénon, terremo una piccola presentazione del nuovo corso dedicato proprio al rilassamento, che avrà inizio dal 2 novembre 2015. Per qualsiasi informazione, potete visitare la pagina del corso e/o contattarci tramite il modulo.
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