Questa posizione deve per quanto possibile essere tenuta segreta (la reazione che produce su coloro che la vedono è loro nociva, e mai uno yogi si mostrerebbe così sulla pubblica piazza).
Kalyana, Yoga anka, commento allo Shiva Samhita 1Il commento è riferito alla postura paschimottanāsana (comunemente denominata pinza). La citazione è contenuta a sua volta in A. Daniélou, Yoga: metodo di reintegrazione, Ubaldini, 1974
Le tre cose più importanti nella mia vita sono Dio, la mia famiglia e il mio account Instagram. E non necessariamente in quest’ordine.
JP Sears, How to Take Yoga Photos for Instagram
Esistono ancora Yogi che non si mostrano sulla pubblica piazza in una posizione?
Sì, naturalmente esistono, a contraddire la regola che se qualcosa non si esibisce, non è mai accaduto. Esistono, com’è vero che il cuore batte anche quando non ci pensiamo, e le piante crescono anche senza che continuiamo a fissarle.
La pubblica piazza sappiamo quale sia, oggi. Ma non è mia intenzione annoiare il lettore con una rampogna sulla degenerazione dello yoga occidentalizzato rispetto alla purezza della tradizione, che spesso è a sua volta deformata secondo le dissonanze cognitive e i capricci dei turisti che la frequentano. Capricci che contemplano tanto l’esibizionismo esasperato dei monaci da social network quanto l’austerità bacchettona del censore, anch’egli sui social network: siamo sulla stessa barca.
Tuttavia, devo confessare il mio disagio, probabilmente a dimostrare che chi scrive non è immune alle pretese di cui sopra. Disagio non tanto verso l’abbondanza di immagini in sé, ma all’abbondanza delle immagini di sé. Immagini dove tutto è sempre in accordo con l’Universo, tutto è splendente e irraggia luce e pace interiore, anche i postumi di un clistere yogico, laddove la pratica dello yoga implica una discreta familiarità con la melma del corpo e dell’anima.
Il forte accento su di sé e la rimozione delle ombre è un tratto molto comune. La dinamica di Facebook e Instagram, quando la si prende un po’ troppo sul serio, si basa sulla premessa che la persona sia un brand, una linea di prodotti che necessita di posizionarsi sul mercato da un lato, e di ridondare il messaggio dall’altro. Come il Cavaliere Inesistente di Calvino, questo senso dell’io al quadrato necessita di mantenersi sempre attivo – e nel nostro caso visibile – pena l’ansia da cessazione di esistere.
Che lo yoga sia una delle tante declinazioni, dei tanti colori selezionabili di questa ridondanza, cambia qualcosa? No, ma proprio il fatto che spesso non faccia la differenza è il problema. Ecco, il mio disagio: disagio perché lo yoga, in molti casi, non sembra minimamente mettere in dubbio la serietà di un meccanismo, ma lo rinforza.
Il fatto anzi che appartenga all’arcipelago della cultura fisica (ammettiamolo) e a quello delle pratiche spirituali lo avvolge spesso di un’aura di superiorità e di autoindulgenza abbastanza sconcertante, laddove gli stessi fenomeni in altri ambiti susciterebbero al massimo un sorriso.
Naturalmente è legittimo fotografarsi anche nell’esecuzione di āsana yogiche ed è altrettanto legittimo condividere tali immagini (anche su Zénon, ogni tanto lo facciamo), e ciò non comporta necessariamente il ricadere nella fattispecie qui descritta. Non è qui in discussione la validità dell’esperienza catturata nell’immagine, ma la sua con-fusione con l’immagine stessa, la con-fusione con sé, la con-fusione con il Sé.
Confusione che traspare peraltro nel fenomeno borderline della memeficazione di tali immagini, mescolando citazioni del Buddha e della Bhagavadgita (spesso false: e questo è un grosso problema culturale), autocitazioni e frasi di copywriter motivazionali che rinforzano, a uno sguardo appena estraneo, l’impressione di aggirarsi all’interno di una sottocultura che ha corso di validità solo al proprio interno.
Una obiezione a questi dubbi riguarda lo yoga come missione. L’idea che mostrare la propria pratica sia d’aiuto ad altri non è peregrina. Certo si possono trarre enormi benefici grazie alla possibilità di confrontarsi con la pratica di altri, ma la manualistica e la didattica (anche informale) non sono argomento di discussione qui.
In questa sede parliamo di situazioni comunicative dove il messaggio non è qualcosa, ma quasi esclusivamente chi lo emette. In questi casi, bisognerebbe lasciare spazio a un legittimo dubbio, prima di convincersi di essere fonte di ispirazione per altri ricordando loro ad ogni istante la propria vita iperspirituale nello yoga.
Farsi un selfie in sirsāsana al tramonto davanti a un Buddha potrebbe non essere tanto diverso dal fotografarsi gli addominali nello specchio del bagno. Del resto, potrebbe non esserlo nemmeno scrivere lunghi articoli sullo yoga. Il template non cambia, si è solo spuntata la casella yoga. Per questo, occorrerebbe un’auto-riflessione silenziosa con l’assoluta astensione dallo scagliare la prima pietra.
Ma la vera questione, in fondo, è che lo yoga sia qualcosa tra le altre cose; qualcosa che si fa e che cessa di essere se non lo si fa, se non lo si è immagazzinato e custodito sotto forma di simboli tangibili e visibili. Un po’ come l’intera categoria della spiritualità mediatica, per la pretesa stessa di voler catturare la trascendenza in una categoria, l’infinito in un segno distintivo.
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Questa non troppo lunga e noiosa rampogna – nonostante le intenzioni iniziali – è dedicata e liberamente ispirata all’incommensurabile JP Sears, autore della serie How to be ultra spiritual e di video come How to become gluten intolerant.
La mia arte yogica serve ad aiutare la gente a trovare la propria bellezza interiore e a vivere il loro pieno potenziale. Il modo migliore in cui posso farlo è di cercare disperatamente più attenzione possibile su instagram.
Note
↑1 | Il commento è riferito alla postura paschimottanāsana (comunemente denominata pinza). La citazione è contenuta a sua volta in A. Daniélou, Yoga: metodo di reintegrazione, Ubaldini, 1974 |
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Daniela Rosati dice
Ero ad un seminario sulle Mudra, occhi chiusi in ascolto, quando ho cominciato a sentire scatti e flash. Mi sono alzata e sono uscita
Simona dice
“……un’auto-riflessione silenziosa….”
Ecco. Il silenzio. Di immagini, fotografie e filmatiì in primis.
Perchè, per quanto mi riguarda, lo Yoga è questione assai privata, intima e silenziosa.