Esisteva Eru, l’Uno, ed egli creò per primi gli Ainur, i Santi, rampolli del suo pensiero, ed essi erano con lui prima che ogni altro fosse creato. Ed egli parlò loro proponendo temi musicali ed essi cantarono al suo cospetto ed egli ne fu lieto. A lungo cantarono soltanto uno alla volta o solo pochi insieme mentre gli altri stavano ad ascoltare poiché ciascuno di essi penetrava soltanto quell’aspetto della Mente dell’Uno da cui proveniva e crescevano lentamente nella comprensione dei loro fratelli. Ma già solo ascoltando pervenivano a una comprensione più profonda e si accrescevano l’unisono e l’armonia.
Questo breve estratto è la prima parte dell’Ainulindalë o “la Musica degli Ainur”, breve racconto che apre il Silmarilllion di J.R.R. Tolkien.
Quando si parla di J.R.R. Tolkien il pensiero comune non può che andare al Signore degli Anelli o allo Hobbit, sia per l’enorme successo editoriale che per quello cinematografico. Meno persone invece conoscono il Silmarillion, un’opera che tuttavia, secondo il mio modesto parere, è di gran lunga la migliore, non solo da un punto di vista strettamente letterario ma anche per la profondità dei temi trattati che esulano, per chi voglia leggere tra le righe, da un semplice romanzo fantasy.
Il Silmarillion viene pubblicato quattro anni dopo la morte di Tolkien e contiene i racconti delle Ere precedenti in termini cronologici a quanto narrato nello Hobbit e nel Signore degli Anelli. La “Musica degli Ainur” che apre il libro tratta della creazione del mondo in cui si svolgeranno tutte le vicende successive: una sorta di cosmogonia Tolkieniana che attinge più o meno consapevolmente da numerosi altri impianti cosmogonici appartenenti a religioni e tradizioni tra le più disparate. E in cui guardacaso, il Suono ha un ruolo centrale e molto particolare.
La Storia
L’Ainulindalë inizia con l’estratto che apre questo articolo. L’Uno crea, pensandoli, gli Ainur, entità che potremmo definire angeliche, e attraverso il Suono e il canto, gli Ainur crescono in consapevolezza non solo di sé ma anche degli altri loro fratelli e di ciò che li circonda secondo una logica di armonizzazione.
Dopo un certo periodo di “armonizzazione” tra loro, L’Uno decide di proporre agli Ainur un grande progetto musicale come descritto qui di seguito:
Ed accadde che l’Uno convocò tutti gli Ainur ed espose loro un possente tema, svelando cose più grandi e più magnifiche di quante ne avesse fino a quel momento rivelate; e la gloria dell’inizio e lo splendore della conclusione lasciarono stupiti gli Ainur sì che si inchinarono davanti all’Uno e stettero in silenzio.
Allora l’Uno disse: del tema che vi ho esposto io voglio che voi adesso facciate in congiunta armonia una Grande Musica. E poiché vi ho accesi della Fiamma Imperitura voi esibirete i vostri poteri nell’adornare il tema stesso, ciascuno con i propri pensieri ed artifici, dove lo desideri. Io invece siederò in ascolto, contento del fatto che tramite vostro una grande bellezza sia ridesta in canto.
Gli Ainur quindi si apprestano a cantare questa melodia e tutto procede secondo il Tema predefinito e in Armonia fino a quando Melkor, il più grande degli Ainur in potenza e conoscenza a cui l’Uno aveva concesso i doni di tutti i suoi fratelli, decide di modificare la parte assegnatagli secondo la sua volontà per accrescerla in potenza e gloria col fine di soddisfare il proprio Ego.
Melkor infatti già prima del grande canto aveva cercato da solo il modo di acquisire lui stesso la capacità dell’Uno di creare dal nulla attraverso la Fiamma Imperitura, senza mai tuttavia riuscire a trovarla. Questo assolo determina una dissonanza che si propaga e, a causa del potere di Melkor, influenza il canto di tutti gli altri Ainur.
Quando il canto assume la qualità di un insieme di suoni dissonanti simile a una tempesta l’Uno, che fino a quel momento era stato in silenzio e in ascolto, si alza e interviene nel canto e lo farà per ben tre volte perché a seguito di ogni suo intervento Melkor cercherà ancora di più di opporsi influenzando a suo piacimento il canto e provocando modificazioni sempre più terribili e angoscianti. La prima volta sarà solo un intervento pacato con la mano sinistra, la seconda volta sarà un intervento più severo alzando la mano destra e la terza sarà assoluta tremenda e definitiva come descritto di seguito:
Nel bel mezzo di questa contesa, mentre le aule oscillavano l’Uno si alzò una terza volta e il suo volto era terribile a vedersi. Egli levò entrambe le mani e con un unico accordo, più profondo dell’Abisso, più alto del Firmamento, penetrante come i suoi occhi, la Musica cessò.
Poi disse: Potenti sono gli Ainur e potentissimo tra loro è Melkor, ma questo egli deve sapere, che io sono l’Uno e le cose che avete cantato io le esibirò che voi vediate ciò che avete fatto e tu Melkor t’avvedrai che nessun tema può essere eseguito che non abbia la sua più remota fonte in me… poiché colui che vi si provi non farà che comprovare di essere mio strumento nell’immaginare cose più meravigliose di quante egli abbia potuto immaginare.
E portò gli Ainur dalle sale atemporali dove era la dimora dell’Uno al Vuoto e qui permise loro di avere una visione di ciò che avevano creato col loro canto, ovvero un mondo, chiamato Arda, che sarebbe poi diventato il luogo dove si sarebbero svolte tutte le vicende trattate nel seguito del Silmarillion e negli altri libri successivi. E qui l’Uno disse:
Conosco il desiderio delle vostre menti che ciò che avete visto sia in effetti e non solo nel vostro pensiero, ma proprio come voi siete e tuttavia diverso. Perciò io dico: Eä! Che queste cose siano! E io invierò nel Vuoto la Fiamma Imperitura ed essa sarà nel cuore del Mondo e il Mondo sarà; e quelli tra voi che lo vogliono possono andarvi.
Molti Ainur quindi si recano nel nuovo Mondo creato dal Vuoto attraverso la Fiamma Imperitura e in questo contesto si susseguono tutte le vicende trattate fino al Signore degli Anelli, in cui Melkor, come durante il grande canto, avrà sempre un ruolo di opposizione al volere dell’Uno e degli Ainur a lui fedeli, cercando sempre con la violenza e la tirannide di sottomettere e regnare su tutta Arda.
Il Suono e il Canto Armonico
Come letto nel breve estratto che apre questo articolo, il Suono per Tolkien riveste un ruolo cruciale in tutto il suo impianto cosmogonico. È infatti sia uno strumento di comunicazione tra l’Essere Supremo, l’Uno, e le entità create dal suo pensiero, sia un mezzo per questi ultimi di espandere la propria consapevolezza oltre la loro natura e di entrare in “ascolto” dei propri “fratelli”, permettendogli di “armonizzarsi” tra loro e col Tutto.
Tuttavia gli elementi presenti in questo breve racconto mi portano a fare tutta una serie di riflessioni sulla mia conoscenza cosmogonica ma anche sulla mia recente tuttavia intensa esperienza con il canto Armonico. Roberto Cerri ha già descritto in maniera attenta ed esaustiva in diversi articoli molti concetti basilari come Suono, Silenzio, Armonia e la mia breve esperienza con lui in questo mondo eccezionale mi ha portato a fare un parallelo tra il racconto di Tolkien e i principi alla base del canto Armonico.
La mia personale sensazione durante la pratica del Canto Armonico è di entrare in uno stato molto simile a quello meditativo in cui il Suono emesso in realtà è più simile ad una vibrazione che, al progredire dello stato di rilassamento e interiorizzazione, si propaga a tutto il nostro corpo, trasformandolo in una sorta di cassa di risonanza simile a quella degli strumenti ad arco.
La vibrazione quindi genera i cosiddetti “Armonici” di cui Roberto ha ampiamente parlato in altra sede. Al pari di questo fenomeno si sperimenta, in parallelo all’interiorizzazione crescente, una profonda dimensione di ascolto, sia del proprio suono/vibrazione che di quello altrui.
Questo punto se vogliamo è uno di quelli in cui ho trovato più analogie con l’Ainulindalë. Infatti L’Uno mostra il tema agli Ainur per poi ritirarsi in una dimensione di ascolto durante il canto. Melkor invece, incurante di ciò che lo circonda, non ascoltando altro se non la propria voce, “impone” il suo canto senza armonizzarsi a quello dei suoi fratelli e il risultato è “apparentemente” disastroso.
Perché ho scritto “apparentemente”? Non nego che nel poco della mia pratica di canto armonico mi sia capitato di trovarmi inconsapevolmente a svolgere la parte del Melkor della situazione e anche Roberto, nel suo insegnamento, pone una forte attenzione sul concetto di ascoltare non solo la propria voce ma soprattutto cosa succede e si muove intorno a noi a livello sonoro, con una modalità che prescinde in parte anche dal senso dell’udito attingendo da una sensibilità diversa e più profonda.
I cambi di intensità, i diversi armonici e le diverse melodie che il canto può assumere sono il risultato dell’apporto di ciascuno con la propria qualità, al tema comune e i tentativi di “prevaricazione” alla Melkor inevitabilmente producono degli effetti. Ma sono proprio totalmente negativi?
In realtà gli insegnamenti di Roberto fanno notare come le persone, soprattutto agli inizi, quando cantano cercano di uniformarsi il più possibile su di una nota, seguendo tendenzialmente la voce più “potente” (che non necessariamente è una voce “vera”).
Questo rimanere all’interno di un recinto sicuro ha molti rimandi con dinamiche che chi pratica discipline psico-corporee sicuramente ha già notato o sperimentato personalmente. Il cambiamento e l’ignoto verso cui una pratica inevitabilmente ci conduce infatti spesso spaventa e l’apparente sicurezza del nostro spazio recintato è un qualcosa che difficilmente ci va di abbandonare.
E qui entra il ruolo fondamentale della dissonanza: per rompere questa monotonia determinata dall’uniformarsi in una nota unisona serve una dissonanza. Apparirà fuori luogo, quasi stonata (uno dei principi del Canto Armonico è che le dissonanze non vanno evitate) e potrà generare un certo fastidio in chi sta così bene all’interno della sua nota stabile e sicura.
Tuttavia questa dissonanza genererà una modificazione che inevitabilmente si propagherà a macchia d’olio, influenzando sia il suono/vibrazione di ogni singolo individuo, sia la totalità risultante del canto. E tale dissonanza potrà anche avere delle qualità “creative” come descritto in questo breve passo dove l’Ainur Ulmo, espressione e reggente dell’elemento Acqua, di fronte alla visione prodotta dall’Uno dopo il canto così si riferisce al risultato finale della sua parte nonostante l’intromissione di Melkor:
“Invero l’Acqua è divenuta più bella di quanto immaginasse il mio cuore, né il mio segreto pensiero aveva concepito il fiocco di neve, né in tutta la mia musica era contenuto il crosciare della pioggia“
Alla fine quindi il canto non riusulterà ostacolato o sminuito dalla dissonanza, ma anzi arricchito sia in potenza che in bellezza.
Integrare la Dissonanza
Nell’Ainulindalë gli Ainur per aumentare la consapevolezza di sé e degli altri inizialmente praticavano l’Unisono per armonizzarsi tra loro, salvo poi ad un certo punto produrre un canto in cui, riversando le qualità uniche e irripetibili di ciascuno di loro hanno “creato” qualcosa di Unico e Irripetibile (e forse anche Indescrivibile a parole) e cioè la Creazione.
Allo stesso modo anche noi nel nostro infinitamente piccolo, quando cantiamo, entrando in contatto col mondo degli archetipi, passando prima da un momento di “armonizzazione”, da cui possiamo successivamente “creare” un qualcosa di unico e irripetibile che tuttavia necessita di un ascolto molto profondo non solo di sé ma anche degli altri.
L’Ascolto è fondamentale per non lasciare indietro nessuna sfumatura e nessun suono, anche quelli apparentemente “fuori luogo”, proprio perché ognuno di noi è in grado di esprimere, come gli Ainur, un aspetto unico e irripetibile che in definitiva è un riflesso infinitesimale di quell’Uno da cui tutto ha origine e in cui tutto si muove e respira.
La dissonanza è quindi un modo per accettare e integrare, in un processo molto simile alla trasmutazione alchemica, ciò che è “apparentemente diverso” da ciò che reputiamo essere giusto, corretto e intonato. Il fine è quello di raggiungere la maggior completezza possibile, contemplando più sfaccettature possibili dell’Uno, ma per farlo è necessario accettare qualunque suono, anche quelli dissonanti, proprio perché tutto è Uno.
Quindi l’Ainulindalë, che è sempre stato interpretato come il canto in cui si è svolta la lotta di Melkor in opposizione all’Uno, quasi come tra due pari, in realtà può essere visto come una integrazione dell’apparente opposizione e ostilità di Melkor al fine di rendere più ricco e completo il canto definitivo, proprio perché come dice l’Uno stesso:
tu Melkor t’avvedrai che nessun tema può essere eseguito che non abbia la sua più remota fonte in me..poiché colui che vi si provi non farà che comprovare di essere mio strumento nell’immaginare cose più meravigliose di quante egli abbia potuto immaginare.
…a conferma che nulla di ciò che può essere pensato dal singolo non può essere stato già pensato prima dall’Uno e quindi, siccome Tutto è Uno, la dissonanza è anche lei parte del Tutto ed è quindi necessaria.
Stella dice
Grazie Marco! E’ una riflessione davvero molto interessante.
A sostegno della irrinunciabile necessità della dissonanza nella creazione dell’armonia, non posso fare a meno di ricordare che Mefistofele si presenta al goethiano Faust come “una parte di quella parte che sempre il male vuole e sempre il bene crea” (Ein Teil von jener Kraft, die stets das Böse will und stets das Gute schafft).
Alle domande incalzanti di Faust, Mefistofele ribatte dicendo di essere “una parte di quella parte che all’inizio era il Tutto” (Ich bin ein Teil des Teils, der anfangs alles war), proprio a testimonianza del fatto che nulla esiste che non sia stato “precedentemente” pensato dall’Uno senza tempo.
Un altro punto potrebbe essere interessante sottolineare perché si collega all’interrogativo se davvero la dissonanza sia così negativa come inizialmente appare: Mefistofele afferma di essere “una parte della tenebra che si è partorita la luce – quella orgogliosa luce che ora contende alla madre notte lo spazio e l’alto rango, e tuttavia non ha la meglio, per quanto aneli” (Ein Teil der Finsternis, die sich das Licht gebar. Das stolze Licht, das nun der Mutter Nacht den alten Rang, den Raum ihr streitig macht, Und doch gelingt’s ihm nicht, da es, so viel es strebt).
Nella nostra cultura è stata instillata l’idea che la luce sia positiva (unica, indivisibile e maschile, malgrado il genere grammaticale) e le tenebre sia divise e divisorie, perché creatrici di incertezza, femminili – e pericolose.
La neutralità del tedesco (nel senso che entrambi i sostantivi sono neutri) e la profonda conoscenza di Goethe riconducono queste due essenze sullo stesso livello e oltre, affermando la sovranità della tenebra sulla luce.
D’altra parte, per ricollegarmi alla metafora alchemica da te citata, tutto sorge nel buio, e senza nigredo non si arriva alla rubedo.