Lunedì 26 maggio, Marsiglia, Congresso Europeo di Riabilitazione. Un pomeriggio non particolarmente stimolante; tante relazioni, tante parole, pochi concetti e spesso già sentiti in precedenza.
Ore 19 – la voglia di tornare in albergo e buttarsi sul letto è tanta. Tuttavia l’occhio mi cade sul programma del congresso e in particolare su un Workshop dal titolo “Tai Chi in carrozzina”. La prima domanda che mi balena in mente è “ma come si fa a fare Tai Chi in carrozzina?”. La curiosità cresce… salgo le scale del bellissimo Palais du Pharo dove si sta svolgendo il congresso e arrivo davanti alla sala del Workshop.
La diligente hostess, con aria costernata, mi dice che avrei dovuto iscrivermi al mattino e che mi farà entrare solo se ci sarà posto in sala, altrimenti nes pas. Annuisco fingendo di accettare questa eventualità, promettendo a me stesso che sarei entrato ad ogni costo nella stanza.
Intanto, con una rapida occhiata, scorgo in fondo alla sala un ometto cinese sorridente, intento a posizionare delle carrozzine e a preparare la propria relazione. Mi guarda e mi sorride e io dal fondo della sala ricambio. Più tardi scoprirò che si tratta del dottor Zibin Guo, medico cinese all’Università di Nanchino e antropologo con un Ph.D. all’Università del Connecticut (qui il suo profilo). Guo studia da anni il rapporto tra la disabilità, la salute e il benessere e ha messo appunto un metodo, Appliedtaiji, che permette di praticare il Tai Chi Chuan anche a chi ha perso l’uso degli arti inferiori.
Ore 19,05 – con un rapido cenno alla hostess, il dottor Guo decreta l’inizio della lezione. Guardo la hostess con aria da cane bastonato e lei, con aria “vabbè dai per questa volta ti è andata bene” mi lascia entrare nella sala. Uno a zero per me.
La prima parte della lezione riguarda alcuni cenni alla disciplina del Tai Chi, le sue radici storiche e culturali, l’interesse crescente della Medicina Occidentale nei suoi confronti e i benefici sia fisici che psichici dimostrati scientificamente nel trattamento di svariate patologie. Tra l’altro viene anche citato lo stesso studio sull’utilizzo di questa disciplina con i malati di Parkinson, di cui già abbiamo parlato in precedenza.
Tuttavia, dopo dieci minuti di classica lezione “frontale”, veniamo invitati a rimanere seduti ciascuno sulla propria sedia ad una distanza di almeno un metro dal nostro vicino. E poi la “magia” inizia. Infatti, consapevole che alcune cose non possono essere spiegate a parole, né comprese pienamente dal solo intelletto, il relatore cinese decide che la cosa migliore per farci “toccare” con mano il Tai Chi è praticarlo.
Inizia così a insegnarci la prima forma in carrozzina, da lui codificata, dividendola in sei parti. Dopo un’iniziale momento di smarrimento e qualche risatina isterica, come dicevo, la “magia” inizia. Infatti ad ogni ripetizione delle fasi della forma i movimenti diventano più armonici, la “circolarità” e la fluidità del Tai Chi emergono e il gruppetto di congressisti inizia a muovere tronco e braccia in maniera armonica e coordinata alla respirazione.
L’effetto finale sperimentato da tutti i colleghi è di un sostanziale rilassamento con una maggiore percezione della propria fisicità, soprattutto per quanto riguarda il tronco, e questa forse è la cosa più interessante, in quanto di fatto restando seduti, questa parte dovrebbe essere meno coinvolta dagli effetti della pratica rispetto all’esecuzione in piedi.
Sicuramente le tematiche da approfondire sarebbero molte, tra cui la percezione da parte di un disabile della pratica e dell’interazione con la carrozzina; tuttavia mi riservo di studiare più nel dettaglio l’argomento prima di trarre altre conclusioni. Intanto, come detto in precedenza, siccome le parole da sole a volte non bastano, la visione di seguito di alcuni filmati potrà essere sicuramente più illuminante per il lettore.
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