Ciò che stupisce di Milo De Angelis – ed è il motivo per cui lo interpelliamo su queste pagine – è come attraverso lo scavo poetico abbia sondato la profondità di quel confine indicato dal suo amato Nisargadatta, soglia o ferita a seconda dei punti di osservazione, senza mai perdere lo stupore di chi apre gli occhi per la prima volta, e assumendosi tutti i rischi di constatare la finitezza dell’io di fronte all’ignoto.
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