Ovvero dell’autorità, dell’idealismo, dell’irrealizzabile perfezione che sfugge sempre più in là per chi cerca di allinearsi a un solo piano.
C’è un’immagine che mette a confronto il giovane B. K. S. Iyengar del 1934 e quello ottuagenario del 2003. Il titolo celebra quasi sovieticamente i progressi compiuti negli anni nel perfezionare Utthita Trikonāsana, la posizione estesa del triangolo:
Non possiamo conoscere ciò che è accaduto interiormente all’autorevole insegnante nel lasso di tempo che separa le due immagini. Quello però che risalta – e probabilmente è intenzione degli illustratori evidenziare – è che abbia esteso la posizione al limite della stabilità, che tutto sia, fisicamente parlando, ‘di più’ nel tentativo di oltrepassare i limiti fisiologici attraverso il corpo stesso.
L’insegnante di fama mondiale del 2003 sembra anzi quasi essere riuscito a realizzare la sua stessa direttiva, secondo cui in questa posizione “il dietro delle gambe, del petto ed i fianchi dovrebbero essere su una sola linea”.1B. K. S. Iyengar, Teoria e pratica dello Yoga (Light on Yoga), Mediterranee, 199 L’indicazione è anatomicamente improbabile e biomeccanicamente esasperata, ma è perfettamente rappresentativa, nel bene e nel male, della personalità di Iyengar; nondimeno, essa è presente in maniera più o meno letterale su moltissimi manuali di āsana che mi sia capitato di consultare, tanta è stata l’influenza del maestro di Pune.
A quanto mi sia dato sapere (ma sono pronto a essere smentito) non abbiamo raffigurazioni o descrizioni di questa posizione prima dello Yoga Posturale Moderno. Tuttavia, prima del paradigma imposto da Iyengar sembra che Trikonāsana fosse più simile alla versione del ’34 che a quella del 2003. Qui, ad esempio, il suo maestro Krishnamacharya:2La prima immagine è tratta dal suo Il nettare dello yoga, a cura di Marco Passavanti, Ubaldini, 2013
Tra le esecuzioni ‘alternative’ di Trikonāsana, quella di Swami Satchidananda appare particolarmente ‘involuta’ secondo gli standard odierni:
Secondo la testimonianza di una allieva (qui), nello Integral Yoga Institute fondato dallo stesso Satchidananda la posizione è oggi praticata in maniera più simile alla versione ‘estesa’ (Utthita) di Iyengar.
Non è intenzione di questo articolo stabilire cosa sia corretto e cosa sia sbagliato, anche perché il mio personale parere è che la stessa posizione offra ampi margini di creatività nel momento in cui viene suonata da strumenti diversi.
Tuttavia, sarebbe un vero peccato se una estrema varietà di approcci andassero persi nel tempo per uniformarsi a un modello dominante. E se vi è un paradigma che ha dominato nella pratica dello yoga moderno posturale è quello massimalista, secondo cui gli effetti (benefici) di una posizione sono proporzionali alla sua espressione fisica, alla sollecitazione quantitativa del corpo e alla definizione dettagliata dei suoi allineamenti.
Sicuramente, B.K.S. Iyengar è uno dei maggiori artefici e responsabili di questo filone. La sua autorità ha anzi assunto con gli anni un carattere prescrittivo spesso categorico. Iyengar ha anche alzato sensibilmente gli standard performativi, per cui tutto ciò che passa al di sotto dell’asticella alzata appare preparatorio e compensatorio, incompleto, ‘in vista di’ colmare l’handicap.
Per questo, oggi, da bravi studenti allevati a Light on Yoga (lo è stato anche chi scrive), quando vediamo la Trikonāsana di Krishnamacharya o di Satchidananda non possiamo evitare di notare la gamba destra leggermente flessa, il bacino visibilmente ruotato o la povertà nell’apertura delle gambe. Siamo abituati a un rigore formale assoluto, difficilmente ci sfiora l’ipotesi che quelle apparenti irregolarità o ristrettezze siano proprio ciò che rende vitale la posizione. Ma viverla, la posizione, non è possibile, quando è tutto posticipato a quando ogni particolare sarà al suo posto.
Intendiamoci: l’icona di Iyengar ha avuto un’importanza innegabile nella diffusione e nella evoluzione dello Yoga Posturale Moderno e sicuramente la sua eredità è imprescindibile. L’uomo che emerge dalle testimonianze e dal lavoro, anche al netto delle intemperanze di cui parleremo più sotto, è sicuramente in buona fede e dotato di una tempra e una determinazione non comuni (ben più pesanti sono, ad esempio, le ombre che gravano sul suo co-allievo di gioventù e alter ego Patthabi Jois, recentemente al centro di un #metoo interno al mondo dello yoga che in Italia ha ricevuto poca eco).
Tuttavia, proprio perché l’influenza di Iyengar è stata unidirezionale verso un ‘di più’ dal quale sembra difficile far ritorno (e anche le varie modalità restorative lo sono in riferimento al suo standard), ritengo che vi siano alcuni aspetti del suo lascito da storicizzare e da leggere nel quadro della sua biografia, invece che in quello atemporale della autorità indiscussa (il famoso ‘because Iyengar’, che indica qualsiasi direttiva ormai entrata nella prassi comune yogica che non ha alcuna altra evidenza tranne l’autorità del maestro di Pune).
È insomma legittimo domandarsi se davvero la sua Trikonāsana sia il punto di arrivo, o ciò che è desiderabile per il corpo di ognuno.
Contenuti
“Su una sola linea”
Quando si afferma che Iyengar ha portato la pratica delle āsana a livelli mai prima raggiunti, occorre considerare che ciò è spesso stato tragicamente.
In primo luogo, perché la preminenza abnorme della āsana nello yoga, che oggi si imputa spesso alle commercializzazioni occidentali, ebbe proprio in Iyengar il principale artefice. Fu solo in un secondo momento che Iyengar sovrappose al proprio metodo di lavoro la soteriologia degli Yoga Sutra di Patanjali, che di per sé non si occupano di āsana se non fugacemente e in modo preliminare, e che Iyengar lesse solo negli anni Sessanta, quando iniziò la stesura di Light on Yoga (il celebre Teoria e Pratica dello Yoga).
Iyengar non fu l’unico ad appellarsi all’autorità di Patanjali senza variare l’approccio essenzialmente posturale – come ha notato Singleton si tratta anzi di un tòpos molto comune nello yoga moderno per autolegittimarsi e rivendicare l’appartenenza alla tradizione – ma la sua enorme influenza ha contribuito più di altri a creare uno scollamento tra teoria e pratica gravido di dissonanze.3Vedi Eric Shaw, Seizing The Whip, citato più oltre, ma anche, per quanto riguarda il clima culturale in cui Iyengar ricevette la propria formazione, il fondamentale Yoga Body di Mark Singleton.
In secondo luogo, l’avanzamento iyengariano fu tragico perché impose un’idea di allineamento intrinseco delle āsana (è il corpo che si deve adattare alla posizione) basata su principi che non trovano riscontro nella realtà biomeccanica del corpo umano. Alcuni mesi addietro, Leslie Kaminoff, autore del celebre Yoga Anatomy, propose una revisione di questa nozione di allineamento, anche a fronte del non-più-segreto numero crescente di insegnanti di yoga che ogni anno si sottopongono a operazioni di sostituzione dell’anca:
Negli ultimi 62 anni in America, un sistema di insegnamento delle āsana – quello di Iyengar – ha mantenuto un monopolio virtuale nella conversazione su ciò che costituisce il corretto allineamento nelle āsana. Dal mio punto di vista, i tempi sono maturi per mettere in discussione l’assunto che le direttive idealizzate e geometriche siano lo scopo ultimo delle āsana yogiche. Se non vi sono linee rette nel corpo, perché cerchiamo sempre di “squadrare il bacino” o “mettere i piedi in parallelo”?
Come Kaminoff osserva, tale impostazione rispondeva al punto di vista adottato da Krishnamacharya negli anni Trenta del secolo scorso, durante la formazione di Iyengar; ironicamente (e l’ironia apparirà feroce alla luce di quanto narrato in seguito), negli anni Sessanta, proprio durante l’ascesa mondiale di Iyengar, lo stesso Krishnamacharya cambiò radicalmente prospettiva (è la pratica che si deve adattare alla persona), dedicandosi unicamente all’insegnamento individuale.
Ovviamente, nello yoga esistono molte pedagogie, ognuna delle quali si basa su presupposti differenti e potenzialmente discutibili, e il metodo Iyengar codificato negli anni ha elaborato le sue strategie e i suoi protocolli per adattare la pratica a un vasto pubblico da parte di insegnanti qualificati.
Tuttavia – sia concessa un’altrettanto discutibile osservazione – l’adozione di protesi e supporti, in questo quadro di riferimento, non parte dai migliori dei presupposti, ovvero che il comune praticante sia in partenza menomato di fronte all’archetipo irraggiungibile della postura.
Intemperanze
Per comprendere meglio l’origine della psicologia iyengariana e la sua popolarizzazione, è interessante andare a rileggere il documentato ritratto di Eric Shaw, basato sulle memorie stesse di Iyengar, in cui emerge il travagliato rapporto proprio con il mentore e maestro Tirumali Krishnamacharya (d’ora in poi indicato anche come K.).
Quale marito di sua sorella, nel 1934 Krishnamacharya accettò di prendere sotto la propria tutela l’allora quindicenne Iyengar e divenne la sua sola figura paterna. A quell’epoca, K. era al servizio del maharaja Navaldi Wadiyar di Mysore per il quale svolgeva opera di educazione e propaganda della cultura fisica indiana, di cui il neo haṭhayoga dell’epoca era espressione.
K. in quegli anni era noto tra i suoi studenti per avere un carattere molto difficile. Poteva chiedere di assumere qualsiasi āsana in qualsiasi momento, e l’allievo era costretto a obbedire. Se commetteva un errore, le punizioni andavano dalle percosse al digiuno forzato. Ma la violenza di K. poteva manifestarsi benissimo senza alcun motivo apparente. Secondo le testimonianze di numerosi allievi dell’epoca, Iyengar compreso, il suo comportamento era del tutto imprevedibile, e questo alimentava ancor di più il clima di terrore che lo circondava.
Iyengar, vivendo con lui ed essendo obbligato ad obbedirgli secondo gli stringenti vincoli familiari indiani, non disponeva di margini per sfuggire alle sue angherie, che si prolungavano anche tra le mura domestiche, tanto che in una occasione tentò il suicidio.
In realtà, Krishnamacharya concesse a Iyengar solo pochissime lezioni effettive, tutte incentrate sulle āsana. Secondo lo stesso Iyengar, il maestro non scese mai negli aspetti più sottili della disciplina, né in dettagli filosofici. Più tardi, pur riconoscendo K. come suo maestro, rivendicò che il proprio insegnamento fosse frutto di ciò che aveva imparato da solo.
Nonostante avesse ricevuto poche istruzioni dal maestro, Iyengar, grazie al suo impegno infaticabile e solitario, venne coinvolto nelle innumerevoli dimostrazioni pubbliche che K. teneva per conto del proprio mentore. Shaw riporta che nel 1935, a Madras,
Krishnamacharya gli chiese di eseguire Hanumāsana, la spaccata frontale completa, ma Iyengar protestò che la sua biancheria intima non glielo permetteva. “Era stata cucita con tanta fermezza dai sarti che nemmeno il dito di una mano poteva attraversarla.” K. rimase inamovibile e chiese delle forbici. La biancheria fu tagliata. Iyengar eseguì la posa. Si strappò entrambi i muscoli posteriori delle cosce: “Non potei camminare per due anni”.
Secondo Shaw, gli abusi di Krishnamacharya furono perdonabili e di natura minore, imputabili al carattere difficile e autoritario del maestro. Tuttavia, “ebbero riverberi duraturi nello Yoga Moderno attraverso i loro effetti sul suo allievo più famoso”.
La tesi di Shaw è infatti che il tormentato rapporto con Krishnamacharya avrebbe alimentato il perfezionismo maniacale del giovane Iyengar, che dedicandosi alla pratica delle āsana per dieci ore al giorno (“Asana is my deity” dichiarerà più tardi4Iyengar, B. K. S., 2000-08, Astadala Yogamala (Collected Works), vols. 1, 5, 6, 7 : Articles, Lectures, Messages, New Delhi: Allied Publishers Limited) cercava così di ricevere l’approvazione dell’esigente e venerato maestro.
Iyengar ebbe modo di sfuggire alla violenta figura paterna proprio quando, di lì a poco, gli si offrì l’occasione di assumere lo stesso ruolo del proprio aggressore, ossia di diventare un insegnante di yoga e di guadagnarsi da vivere attraverso questa mansione, cosa che all’epoca era tutt’altro che comune.
Ma anche quando si allontanò dal maestro, superandolo addirittura dal punto di vista delle capacità fisiche, il perfezionismo ossessivo nelle āsana rimase il suo marchio di fabbrica. È peraltro da notare come esistano numerose testimonianze (tra cui quella di Gabriella Cella5”Ho seguito le lezioni di Iyengar, ammirata dalla sua forza marziale […] anche se il bastone che batteva vigorosamente sulle ginocchia degli allievi in una Trikonāsana imperfetta e le cinghie con cui legava le gambe per mantenere Padmāsana, non mi davano proprio l’idea di un percorso yoga” da G. Cella Al-Chamali, I segreti dello Yoga: manuale pratico di Yoga Ratna, Rizzoli, 2011) delle spigolosità caratteriali che Iyengar ereditò dal maestro, elaborandole in un approccio spesso intimidatorio e violento, di cui il filmato che segue, risalente con probabilità agli anni ’90, mostra un esempio.
In occasione della sua morte, nell’agosto del 2014, il Times of India lo descrisse
sempre incollato al suo credo molto criticato – che il corpo ha bisogno di amore duro per essere spinto a calci nella consapevolezza. Alcuni dei suoi studenti americani hanno scherzato sul fatto che le sue iniziali BKS fossero “beat, kick and slap”. Ma era una linea seguita dalla maggior parte degli insegnanti della scuola di Iyengar. Gli studenti dovevano lasciare il loro ego alla porta e se non riuscivano a superare l’abuso, smettevano. Non sorprendentemente, il livello di attrito nelle prime classi era alto. Ma per coloro che hanno imparato lo zen a forza di pugni, i suoi metodi erano avvincenti.
“Non è con voi che mi arrabbio, non siete voi che prendo a calci. È il ginocchio, la schiena, la mente che non stanno ascoltando”, avrebbe detto durante i suoi discorsi stracolmi in occasioni festive.
Per sfuggire al proprio aggressore, Iyengar lo aveva introiettato incorporandone gli aspetti più fanatici ed erigendoli a sistema. Scrive ancora Shaw:
L’impegno di Iyengar lo ha trasformato in un’icona inattaccabile per la perfezione del suo lavoro.
Idealismo e ortoprassi definiscono il suo metodo.
La ristrettezza di questa visione ha modellato il suo stile di insegnamento e le sue convinzioni, e il suo approccio pedagogico, colorato dalla sua esperienza con Krishnamacharya, fu trasferito a legioni di seguaci.
A causa del profondo potere della personalità di Iyengar e dell’autorità che ha
guadagnato dalla sua lunga, fedele e singolare attenzione, ha ridefinito lo yoga come postura allineata per gran parte del mondo dello yoga moderno.
Afferrando la frusta
Ora, cominciamo a calare il sipario su Bellur Krishnamachar Sundararaja Iyengar. Il reale argomento di questo articolo non è infatti lo Iyengar in sé, ma lo Iyengar in me (e in te, e in lui, e in lei: in tutti noi). Non a caso, il saggio di Shaw è intitolato Seizing the whip, ispirato al celebre racconto-aforisma kafkiano in cui l’animale “strappa di mano la frusta al padrone e si frusta da sé per diventare padrone e non sa che questa è soltanto una fantasia prodotta da un nuovo nodo nella correggia della frusta del padrone”.
Oggi, ovviamente, i metodi di insegnamento appena descritti non sono proponibili. Tuttavia, la tentazione di frustarsi da sé nell’illusione di diventare padroni esercita ancora una notevole attrattiva.
Lo è, se pensiamo alla indefessa disciplina a cui si sottopongono milioni di praticanti che ogni giorno documentano attraverso i social network i propri progressi, inseguendo il mito di un allineamento sempre più definito e una postura sempre più ‘avanzata’. Non dimentichiamo che Iyengar fu essenzialmente, per tutta la sua vita, un uomo eminentemente di spettacolo, perennemente sotto i riflettori tra pubbliche esibizioni e servizi fotografici che ne hanno documentato le performance persino negli ultimi giorni di vita, come se sopravvivesse un riflesso condizionato dell’ambiente altamente competitivo in cui si trovò in un primo tempo a insegnare, penalizzato dall’assenza di qualifiche e dalla povera estrazione sociale, che ricordò così:
La vanità era nei miei allievi e in me. Se dovevo dimostrare la mia superiorità, naturalmente dovevo dimostrare la mia vanità ancora di più… potevo vedere che i miei allievi riuscivano meglio di me, e ciò mi diede la motivazione per fare ancora meglio6Iyengar, B. K. S., 2009, Yoga Wisdom and Practice, New York: D. K. Publishing
La tentazione dello Iyengar-in-me di afferrare la frusta è viva nel presupposto che nella pratica delle āsana il di più, in senso lineare e idealizzato, sia per forza più efficace, a discapito delle micro- e macro- lesioni, dei dolori cronici che sempre più praticanti accumulano negli anni, pur continuando indefessi a praticare e proporre le stesse procedure che li hanno provocati.
Ma la tanto agognata e irrealizzabile perfezione nel corpo, sempre posticipata un po’ più in là, il mai essere pronti ad accedere al livello ulteriore, stanno lì, a dimostrare che la frusta è ancora saldamente nelle mani del padrone, e stai saltando secondo il ritmo da lui dettato.
Alignment is enlightment è un motto molto popolare nell’ambiente olistico moderno, e lo Iyengar-in-me ha la propensione a prenderlo terribilmente alla lettera. Ma siccome in questo mondo l’allineamento non arriverà mai, anche l’illuminamento rimane tantalicamente negato. Chissà perché, le verità espresse in rima, oltre che essere spesso intraducibili in altre lingue, lo sono anche nella realtà.
Note
↑1 | B. K. S. Iyengar, Teoria e pratica dello Yoga (Light on Yoga), Mediterranee, 199 |
---|---|
↑2 | La prima immagine è tratta dal suo Il nettare dello yoga, a cura di Marco Passavanti, Ubaldini, 2013 |
↑3 | Vedi Eric Shaw, Seizing The Whip, citato più oltre, ma anche, per quanto riguarda il clima culturale in cui Iyengar ricevette la propria formazione, il fondamentale Yoga Body di Mark Singleton. |
↑4 | Iyengar, B. K. S., 2000-08, Astadala Yogamala (Collected Works), vols. 1, 5, 6, 7 : Articles, Lectures, Messages, New Delhi: Allied Publishers Limited |
↑5 | ”Ho seguito le lezioni di Iyengar, ammirata dalla sua forza marziale […] anche se il bastone che batteva vigorosamente sulle ginocchia degli allievi in una Trikonāsana imperfetta e le cinghie con cui legava le gambe per mantenere Padmāsana, non mi davano proprio l’idea di un percorso yoga” da G. Cella Al-Chamali, I segreti dello Yoga: manuale pratico di Yoga Ratna, Rizzoli, 2011 |
↑6 | Iyengar, B. K. S., 2009, Yoga Wisdom and Practice, New York: D. K. Publishing |
Scopri di più da Zénon Yoga Novara
Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.
Paola Gioffredi dice
Grazie.
Non sono mai stata allieva di Iyengar, eppure questo articolo genera in me grande risonanza.
Ringrazio di aver incrociato sulla mia strada maestri come Gabriella Cella e Antonio Nuzzo che sanno far intravvedere l’universo che esiste oltre la perfezione di una forma …
gilda rotundo dice
Articolo interessante ma un pò esasperato, l’insegnamento del maestro Iyengar non è questo, ma di imparare ad ascoltari, sentirti, capire quali sono i tuoi limiti e oltrepassarli, se hai anni e anni di posture errate (cosa comune a tutti gli occidentali) non potrai mai sentire il beneficio di trikonasana o di qualsiasi altra asana se prima non ti riallinei e impari quali sono i limiti del tuo corpo e del tuo allineamento. Iyengar non ha mai scritto o detto che con il dolore cronico si affronta la pratica, ma casomai che il dolore è un maestro.
Zénon dice
Paola, se legge un po’ più attentamente l’articolo, vedrà che confuta proprio la tesi che lei ci ha esposto, in quanto le idee di allineamento e di simmetria iyengariane non sempre coincidono con la realtà anatomica e biomeccanica e con ciò che funzionale per il singolo. La frase sul dolore cronico non è attribuita a Iyengar, anche se “il dolore è maestro” è un motto negli anni genericamente utilizzato da maestri di varia levatura per giustificare i danni prodotto dalle proprie dissennate ed eccessivamente convinte indicazioni.
Quanto all’educazione all’ascolto, da molti predicata a patto che si senta ciò che è previsto, mi viene da pensare al titolo di un nostro articolo di qualche mese fa: “Accetta i tuoi limiti, ma vedi di toccarti i piedi in fretta”.
Lucia Coghi dice
Asana, neutro in sanscrito( uscita in – a è desinenza neutro plurale in greco e in latino) per convenzione in italiano diventa maschile quindi gli asana e non le asana.
Zénon dice
Gentile Lucia, la ringraziamo per la lezione linguistica. Tuttavia, per convenzione il termine asana è stato per decenni tradotto in italiano al femminile (probabilmente per proprietà transitiva in quanto utilizzato come sinonimo di ‘posizione’), ad esempio proprio in Teoria e pratica dello yoga di Iyengar o in Asana Pranayama Mudra Bandha di Swami Satyananda, per citare due manuali molto diffusi, anche se negli ultimi anni, complici la diffusione dei corsi di sanscrito per insegnanti di yoga, si sta diffondendo la versione al maschile. La lingua è strana e spesso non c’è una risposta esatta e una sbagliata, e le alternative possono convivere, quando, come in questo caso, non è compromessa la comprensibilità e vi sono illustri predecessori che condividono l’errore.
Gianfranco dice
Caro Francesco posso solo ringraziarti per il bellissimo e quanto mai realistico articolo che hai scritto.
Non è il primo che leggo e mi ritrovo molto in quello che scrivi. Spero solo tu abbia la voglia e il tempo di continuare a farlo. Grazie.
Pietro Saleri dice
Bellissimo articolo, complimenti.. Fa riflettere, io pratico questo metodo Iyengar e personalmente uso questa maniacalita’ nella ricerca dell’allineamento gradualmente migliore per utilizzare la mente all’attenzione qui e ora su un oggetto (corpo, respiro) molto tangibile… dovuto all’amplificazione delle percezioni fisiche che l’allungamento muscolare attiva, è una Mindfulness per me, mi da più consapevolezza psicosomatica, mi seda il sistema nervoso, poi dopo quando mi siedo per aprirmi alla meditazione ne sono avvantaggiato perché più calmo.. silente.. E centrato…
alessandra dice
Trovo molto intriganti, nel senso che provocano riflessioni,le cose che ha scritto. Pratico Iyengar da anni, ho avuto diversi maestri italiani e stranieri. Alcuni militareschi, altri più “tolleranti”. Mi sono sempre chiesta perché questa ossessione sulla perfezione fisica, mentre vengono regolarmente trascurati pranayama e yogasutra. Penso Iyengar abbia avuto certamente un carisma immenso: ho conosciuto diversi suoi allievi e tutti ne hanno subito l’influenza. Ha scritto dei libri bellissimi, le pratiche che indica sono state per me molto utili. Ma credo che pochi dei suoi allievi siano in grado di trasmetterne il carisma e potersi permettere quindi le intolleranze e le imposizioni acritiche. Comunque c’è da riflettere più che sulla sua figura che resta indiscussa sulla sua eredità ….
Laura dice
Grazie per l’articolo manca a mio avviso uno sguardo profondo sulla teoria che sta dietro il metodo . Se è’ passato da Pune avrà avuto modo di seguire qualche lezione del figlio Pashant o leggere i suoi testi ( o quelli del padre)per capire meglio la pratica Iyengar e unirla alla teoria senza la quale il suo giudizio potrebbe sembrare corretto. L’uso e l’interpretazione fatta del metodo Iyengar è’ spesso stata superficiale in occidente e legata a sole indicazioni tecniche che lui stesso ha più e più volte esortato a elaborare .
“La mia fine sia il vostro inizio”Bks.Iyengar
Zénon dice
Gentile Laura, se fosse così gentile da entrare nel merito argomentando le sue affermazioni, la sua obiezione uscirebbe dalla ristretta fattsispecie del ‘because Iyengar’.
La ringraziamo per la citazione finale, che aggiunge una dimensione messianica alla figura del maestro di Pune.
Marianna dice
Apprezzo molto la sua capacità di lavare i panni sporchi in pubblica piazza e, come lei stesso ammette, di parlare della sua ossessione per il corpo allineato in una fantomatica postura priva di consapevolezza e ascolto. Credo anche io, come lei, che il web sia pieno di questo puro spam intorno al tema #yoga. Posto che questo sia da imputare ad Iyengar, è lei che lo dice, o forse questo è quello che lei ha colto pescando un po’ dal suo (è dura uscire da sè), in questo modo ha pensato bene di paragonarsi a uno dei personaggi più influenti del XX secolo, cosa che quanto meno denota anche la sua arroganza e mania di grandezza.
Ma oggi per uscire dalla soglia del rumore di informazioni è necessario spararle grosse e anche lei è stato vittima di questo ricatto. L’articolo è ben scritto e ho letto anche io i testi a cui fa riferimento, ma per esempio di Singleton credo non abbia del tutto colto il tono che non era affatto diffamatorio come il suo, piuttosto una necessaria storicizzazione e genealogia dello yoga posturale contemporaneo per farla finita con un sacco di considerazioni vaghe su queste discipline. Chissà che terremoto alla pubblicazione del testo italiano!
In sostanza oltre che parlarci di un suo presunto superamento di una figura per come lei l’ha interpretata, che ce voleva dì?
Zénon dice
Gentile Marianna, ci può citare esattamente il passaggio in cui l’autore si paragona a Iyengar?
Maurizio Dickmann dice
Ma d’ sicuro che x illuminarsi tocca fa tutte ste contorsioni ?
alexandra van oosterum dice
bellissimo il libro di Singleton, felice che verrà tradotto in italiano
Dona Holleman dice
Mi sembra un articolo molto unilaterale puntando piu di tutto sul masochismo degli allievi che in loro turno vogliono essere ‘visti’ in un modo o altro. Io ho avuto la fortuna di aver conosciuto Iyengar in modo ‘famigliare’ in 1964 e ho vissuto con la famiglia per due anni. Invece di puntare il dito contro tutti i ‘difetti’ io posso solo esprimere la mia profonda amirazione per un uomo che si e tirato fuori della poverta e ignoranza per diventare una luce per milioni. Era capace di non solo tirare fuori dagli allievi i lati piu scuri ( arroganza, esibizionismo etc. Ma era anche capace di ‘creare’ un amore profondo sia per lui che per lo yoga. Non un amore basato sul egoismo e protagonismo ma amore in se. Pur avendo 77 anni ora e 22 quando l’ho incontrato considero lo yoga sempre una ‘vacanza’ per il corpo, ma sembra che molta gente non vede oltre la violenza del metodo e in loro turno lo impongono sui loro allievi. Chiedo solo di comprendere sia Iyengar stesso che i suoi metodi in modo piu ampie e compassionevoli.
Zénon dice
La ringraziamo per la testimonianza Dona, quindi lei conferma che Iyengar utilizzava metodi violenti nei confronti dei suoi allievi?
Dona Holleman dice
Bisogna sempre ricordare che Iyengar e venuto fuori da un passato ‘coloniale’ con tutte le umiliazioni di quel popolo inflitto dagli Occidentali. Ho sempre intuito dentro di lui un certo rancore raziale, e in un certo senso quando l’occidente lo ha “scoperto’ prima attraverso Yehudi Menuhin e poi in Inghilterra ma piu di tutto in America e venuto fuori il suo lato di ‘violenza’ che personalmente non ho mai esperimentato. Ci vuole due per ballare il tango. Forse erano gli allievi che lo avevano intrappolato nel ruolo di “guru’ e lui non era abbastanza ‘vaccinato’ contro l’occidente. Alla fine era un uomo molto solo e pure ha tenuto duro fino a 95 anno. Tanto di cappello.
Zénon dice
Dona, la ringrazio ancora perché il suo contributo si sta rivelando molto prezioso per comprendere meglio la figura di Iyengar. Come ho scritto nell’articolo, non è mia intenzione discutere della buona fede del maestro, né della sua integrità morale. Quello che ci interessa è però comprendere nel suo lascito vi siano elementi problematici. Certo, per ballare il tango bisogna essere in due. E il rapporto allievo maestro è problematico proprio perché l’allievo spesso tende ad assumere dal maestro anche gli elementi disfunzionali che ogni essere umano porta con sé (da qui anche il titolo dell’articolo). La ringrazio ancora moltissimo,
Dona Holleman dice
Infatti, in Inglese si dice: Beauty is in the eye of the beholder ( la bellezza e nel occhio del osservatore) La ‘violenza’ e solo una parola che va interpretato da ciascuno di noi in modo personale, o ‘la violenza e nel occhio del osservatore’. Quello che per uno e ‘violenza’ per un altro e uno specchio per vedersi dentro. Personalmente lo visto sempre cosi ma ovviamente la piu parte di noi,, in particolare le persone piu ‘debole’ che cercano un appoggio comodo in forma di un ‘guru tutto saggeza e amore’ lo vedono come una violenza. Non vogliono essere disturbati per fare i compiti di auto esame e prendere la responsabilita di avere scelto lui come ‘guru’. Nessuno li costringe per cui dare ‘la colpa’ a lui mi sembra un po immatura.
Zénon dice
In inglese si usa anche il termine ‘victim blaming’ e credo che si stia inoltrando in quel terreno scivoloso che porta a condannare la moglie percossa perché in fondo il marito se l’è scelto lei, distogliendo l’attenzione dal fatto che il comportamento del marito rimane comunque criminale. Purtroppo questo è un atteggiamento molto comune nel rapporto maestro-allievo all’interno di ambienti con caratteristiche settarie.
Quanto poi alla valutazione della violenza in base al proprio essere deboli… Be’ questo è molto iyengariano (‘essere buttati a calci nel samadhi’ qui suona appropriato), compresa la certezza assoluta che le cose non possano essere altrimenti. È abbastanza raccapricciante.
Dona Holleman dice
Il problema e nel rapporto. Il ‘debole’ non e una critica ma e il fatto come dicevo che uno sceglie il ‘guru’ e poi lo critica. E diverso della moglie maltrattata. Li possono essere molte cose che impediscono la donna di allontanarsi (bambini,soldi etc.) . Il guru si sceglie e non credo che ci sono vincoli che si lega. In una setta c’e la paura e un certo ‘ipnose’ che tiene il seguacio legato, che ovviamente non era il caso con Iyengar. Qui sarebbe piu il classico caso di ‘odio/amore?’ Comunque sia, e in qualunque modo si ricorda questo ‘piccolo grande uomo’ dobbiamo molto a lui.
Zénon dice
Il problema è noto alla psicologia occidentale come sindrome di Stoccolma. Con un buon specialista se ne può uscire dignitosamente, sempre che lo si voglia.
Serena Terenzio dice
Insegno yoga da qualche anno, non appartengo a nessuna scuola importante, il motto del mio maestro è un semplice “rispetta i tuoi limiti”. Ritengo di fare un buon lavoro eppure mi è successo diverse volte che alcuni dei miei insegnamenti fossero citati in giudizio da allievi di iyengar per la poca precisione nell’allineamento (ex. Sarvangasana senza cinghia ai gomiti) richiamando in me una nota di insicurezza che sorge dalla coscienza che ancora mi manca molto da imparare. Sono solita mettere in discussione le mie credenze se la tesi che mi si presenta ha una logica e così ho preso in considerazione l’idea di avvicinarmi allo iyengar, sebbene con una sensazione di disagio interno. Ho partecipato ad un seminario dove ero l’unica “non iyengar” con i pantaloni lunghi invece dei boxer a palloncino. L’esperienza non è stata molto piacevole per varie ragioni tra le quali tenere un trikonasana per moltissimo tempo a freddo come prima postura. L’esperienza mi ha confusa ancora di più. Perché non riuscivo a trovare il valore di questo metodo mentre tutti sembravano trovare l’essenza dello Yoga in esso? Ho cercato sul web articoli e testimonianze di altre persone confuse come me e non ho trovato nulla neppure cercando in altre lingue. Solo articoli sulla perfezione e la presunta scientificità del metodo iyengar. Poi finalmente mi sono imbattuta in questo articolo, l’unico che ha avuto il coraggio di apportare una critica (sapendo di andare incontro ad un mare di disapprovazioni). Devo ancora farmi un’idea mia, ma nel frattempo ti ringrazio per avermi confermato che non sono l’unica a non essere convinta di questo approccio.
Rita dice
Ma lei è insegnante Iyengar Yoga?
Ha studiato almeno sei anni sotto la guida di un insegnante senior del metodo Iyengar prima di raggiungere un livello base?
Come tutti gli insegnanti Iyengar Yoga? approfondendo e rispondendo a tutte le osservazioni che ha fatto nel suo articolo? Evidentemente no.
Se vuole brillare lo faccia di luce propria invece di sminuire un pilastro dello Yoga, che se cosi non fosse probabilmente, qui in occidente non saremmo ad aprire scuole di Yoga.
Le foto messe a confronto come mostra lei, danno la risposta ad una mente attenta ed aperta;
la foto a sinistra ritrae un Iyengar sofferente e molto rigido e sembra un anziano, a destra un Iyengar anziano che sembra un giovane uomo, trasmettendo energia e forza a chi lo guarda.
Direi che la risposta si da da se o sbaglio?
Iyengar ha dedicato la sua vita per evolvere un metodo che le era stato imposto, trasformandolo in arte pura accessibile a tutti, non imponendo il suo brand, infatti siamo noi ad averlo chiamato “Iyengar Yoga”, per rispetto e ammirazione.
Sono orgogliosa di essere diventata con disciplina e un training molto rigoroso un insegnante Iyengar Yoga.
Ci racconti di lei,
così invece che ricordarci del suo articolo come un volere diminuire un grande maestro, per attirare l’attenzione,
magari rimarremo così impressionati che ci iscriveremo tutti alla sua scuola.
Buon lavoro collega
Namaste
Zénon dice
Cara Rita, ciò che è scritto nell’articolo può essere messo in discussione, dalla prima all’ultima parola: lo dimostra che lei e l’autore vedono nella foto due estremi opposti. Però bisogna rilevare con inquietudine l’affermazione (molto ricorrente, tra i seguaci di BKS) che non si possa mettere in discussione l’influenza culturale di Iyengar al di fuori della cerchia del suo culto (perché è quello il tema) se non si è insegnanti formati alle sue scuole; il che vale a dire che non si può affrontare l’argomento se a monte non vi è professione di fede nel soggetto stesso della disamina.
Bene, a quasi quattro anni dalla pubblicazione di questo articolo non vi è ancora stata una obiezione che non si sia basata sul criterio di autorità. Nessuna contro argomentazione basata su criteri biomeccanici, funzionali, o anche storici, filosofici, pedagogici. Dobbiamo concludere che si tratti di un ottimo risultato!
Aurora dice
Buongiorno,
avrei piacere di condividere la mia esperienza, sebbene io non sia né un insegnante né un’esperta della filosofia, della storia e della pedagogia dello yoga.
Pratico questa disciplina da alcuni anni e, a eccezione di brevi parentesi durante le quali ho sperimentato altri metodi e stili di insegnamento, ho avuto due maestri.
La prima è stata per me fonte di sempre nuove scoperte e stimoli; docente di Hatha Yoga che aveva però arricchito il suo percorso di influenze provenienti dalla danza, dal teatro, dal canto e da altri approcci di varia natura (bioenergetica, arti marziali, Feldenkrais etc.). Insomma, il suo insegnamento è stato frutto di una ricerca personale e costante che si è mossa in tante direzioni diverse: non ha mai preteso di diventare guida spirituale dei suoi allievi e si è sempre battuta molto per uscire fuori dall’idea di perfomance e perfezione. Poi, mi sono trasferita e ho iniziato a praticare con un insegnante di Iyengar; molto preparato, scientifico nelle spiegazioni e anche molto amato dai suoi allievi. Per tre anni ho continuato, beneficiando di positivi effetti soprattutto a livello fisico ed energetico. Eppure, mi è sempre rimasto un dubbio, una sorta di diffidenza in parte verso il docente stesso e in parte verso il metodo. Forse, semplicemente, non è il percorso adatto alla mia persona, ma ho più volte sentito come questo tipo di pratica andasse a stimolare ulteriormente il lato di me più superegoico, controllante e performante. Inoltre, ma questo purtroppo capita spesso, sembrava quasi che tale pratica dovesse acquisire un valore iniziatico. L’insegnante appariva a molti come un guru e la dedizione diventava un prerequisito essenziale per sentirsi parte del processo. Tutto questo per dire che, da semplice praticante dello yoga, ho percepito lo Iyengar come un metodo eccessivamente rigido e performante e, a tratti, velatamente settario nelle sue applicazioni più ortodosse, nonostante gli evidenti benefici, per me soprattutto fisici, riscontrati. Cordialmente, A.C.