Le posizioni di yoga più iconiche, come sirsasana, paschimottanasana, per non parlare delle ambitissime capovolte sulle mani, sono oggi impraticabili per la maggior parte delle persone che si rivolgono a questa disciplina, a meno di non scendere a significativi compromessi e adattamenti. Ci dobbiamo stupire di questo scollamento tra ciò che appare sui social e ciò che è nella realtà? Ovviamente no, ma questo ci offre lo spunto per una riflessione su come il vero problema non sia raggiungere un obiettivo, ma orientare le proprie energie in una direzione, e percorrerla.
“Qual è lo scopo di tutto questo?”
da Krishnamacharya in His Own Words, a cura di A. G. Mohan e Ganesh Mohan
“Che io possa conoscere il prāṇa.”
Esisterà ancora, come sembra da certi annunci, qualcuno che si iscrive a un corso di yoga per togliersi la soddisfazione di fare la spaccata a quarant’anni suonati. La realtà dei fatti, però, è ben diversa, e chi insegna questa disciplina potrà riconoscersi in quanto segue con la sua statistica, personale ma a suo modo significativa: per la gran parte delle persone che si rivolgono allo yoga, oggi, molte delle posizioni più iconiche non sono realizzabili né lo saranno dopo uno, cinque, dieci anni di pratica se non con molti adattamenti e molta fantasia.
Se vogliamo essere proprio onesti, tali posizioni – almeno nella loro rappresentazione comune, ‘instagrammabile’ – non sono spesso nemmeno auspicabili, dato che potremmo anche portare a casa il risultato con qualche forzatura in apparenza innocente ma non priva di conseguenze.
Potrebbe apparire una considerazione scoraggiante e già sembra di avvertire il retropensiero di molti praticanti di lunga data: che un tempo lo yoga… che una volta… che la gente non è più disposta…
In realtà, è vero che i praticanti di venti-trenta anni fa, molto meno numerosi, erano il risultato di una selezione a monte, basata in parte sulla determinazione (per fare yoga dovevo percorrere parecchi chilometri dopo una giornata di lavoro, tornare tardissimo e spesso saltare la cena; oggi è sufficiente colmare la distanza che separa il mio pollice dalla miniatura del video su Youtube). Non possiamo tuttavia nasconderci che, data la scarsa flessibilità degli stili allora più diffusi e degli insegnanti forgiati in quella disciplina, spesso la selezione avveniva anche su criteri di abilità. Non pochi rimanevano tagliati fuori per semplici motivi di conformazione fisica, o si dovevano adattare a un vestito molto scomodo con pochissime possibilità di adattamenti, con scarsa soddisfazione e magari qualche danno collaterale; non pochi, di conseguenza, concludevano di non essere tagliati per lo yoga perché non erano in grado di eseguire una posizione, o perché la propria colonna vertebrale non poteva subire certe sollecitazioni.
Ora che lo yoga invece è o dovrebbe essere per tutti, nel male (leggi: massificazione e spesso banalizzazione) e nel bene (leggi: accessibilità a insegnamenti alternativi e possibilità di maggior approfondimento), ci accorgiamo che poche persone sono in grado di eseguire il loto e farne una postura stabile, poche, pochissime, sia per ragioni strutturali muscolo-scheletriche, sia di attitudine mentale, hanno i requisiti per eseguire la posizione sulla testa, e quasi nessuno le ambitissime capovolte sulle braccia.
Ma l’eventualità di inserire una di queste posizioni in una lezione ‘per tutti’ è comunque remota. La realtà è che per molte persone anche posizioni considerate di livello base, come il piegamento in avanti di paschimottanasana, richiederà qualche adattamento, a volte anche a prescindere dall’età e dallo stato di salute generale.
Ebbene, secondo i criteri ‘tradizionali’ basati sull’abilità (e per tradizionali intendo non secoli, ma i pochi decenni in cui lo yoga è diventato globale, ripetiamo: nel male e nel bene), i molti appena descritti si troverebbero su un gradino inferiore a guardare con ammirazione i pochi abili eletti. Ma, ironia della sorte, di quei pochi eletti, una buona parte molto spesso non sarà in grado di andare oltre il risultato fisico. Insomma, è molto raro – parlo per esperienza personale – che un impeccabile praticante di āsana sia anche un allievo interessante, perché come il bambino non abituato a ricevere dei ‘no’, non incontrando alcun limite significativo dal proprio corpo, non può superarlo (che poi il problema sia più spesso che non ci si accorge del limite, è un discorso affrontato altrove). Per questo, accade anzi che una postura accomodata e parziale diventi il supporto per scoperte molto più stimolanti: chi sa arrendersi al proprio limite, proprio per questo non ha limite.
Non è quindi detto che sia un peccato che certe posizioni siano ormai quasi sempre fuori portata, per lo meno nella versione standard, o che non si riesca a farle affatto. Può anzi darsi che sia invece un’occasione per indagare su ciò che è davvero essenziale nel fare un āsana, e nello yoga in generale: già, ma cosa?
Lasciamo per il momento in sospeso la domanda e, nel frattempo, mi soffermerei su un dato, non irrilevante per quanto detto più sopra: la gran parte di chi si rivolge allo yoga, oggi, soffre. Soffre di una o più patologie, o di una sindrome, o di un malessere non ancora nominato, che magari non lo ucciderà nel breve periodo, ma che ha trasformato la sua vita un combattimento ininterrotto. E, quando si rivolge allo yoga, non è solo perché – come sempre più spesso accade – glielo ha consigliato il medico o lo psicologo: è perché intuisce – consciamente o meno – che qui può trovare un modo per deporre le armi.
Lo yoga serve a conoscere il nostro funzionamento, non in teoria, non con una spiegazione, ma in presa diretta. Come reagiamo alle situazioni, al cibo, alle paure, come il corpo anticipa o subisce la scia di ciò che temiamo o avversiamo. Come il precipitarsi verso ciò che desideriamo – fosse anche un āsana – porta molto spesso alla perdita del godimento più vero, oltre a causarci spesso qualche grattacapo. È imparare ad agire, o non agire, di conseguenza, lasciando uno spiraglio a quell’imponderabile che, pur non avendo alcun significato, rende significativa l’esistenza.
E a proposito dell’imponderabile e della domanda che abbiamo lasciato in sospeso: è da poco uscito un piccolo volume dal titolo Krishnamacharya in his own words, una selezione degli appunti che A. G. Mohan prese durante la quasi ventennale frequentazione del suo maestro, di cui fu allievo dal 1970 fino alla di lui morte avvenuta nel 1989. Forse a chi conosce i discepoli del tardo Krishnamacharya questo libretto non dirà nulla di nuovo, eppure si tratta di un documento molto interessante per comprendere ancora meglio quanto già si sapeva: che colui che è oggi celebrato come ‘il maestro dei maestri’, per avere formato negli anni ’30 gli insegnanti che hanno di fatto inventato lo yoga moderno globalizzato, appartenesse in realtà a un altro mondo. Sia per erudizione, che per spessore e per sensibilità.
“Gli āsana dovrebbero essere praticati a seconda delle condizioni fisiche di ognuno […] Non tutti devono fare tutti gli āsana, né tutti gli āsana devono essere sempre eseguiti” leggiamo a pagina 15, e già basterebbe. Ma più che le maniacali elucubrazioni sugli allineamenti corporei dei suoi primi e molto più famosi allievi, al centro degli insegnamenti di Krishnamacharya sullo yoga c’è il prāṇa. Ma che cos’è prāṇa? È il fondamento della vita che nasce dalla coscienza, è ciò che non si vede, ma “protegge l’universo”, che se vogliamo è anche il nostro corpo. Attraverso la pratica dello yoga, prāṇa diventa oggetto di esperienza e, chissà, contribuire a diradare le nebbie che avvolgono il vero soggetto dell’esperienza. Per cui potremmo dire che lo Yoga parte dal visibile ma per rivelare l’invisibile, per restituire la vista a occhi atrofizzati e abbagliati.
Saper andare oltre il visibile sarà sicuramente la sfida per lo yoga nei prossimi anni, almeno per quello che saprà – e sono sicuro che lo saprà – non farsi soppiantare da qualcosa di più smart e alla moda. Intanto, se lo pratichiamo o cerchiamo di insegnarlo, ricordiamoci di questo: stabilire le fondamenta della pratica in ciò che non si vede.
Roberta Acciari dice
Grazie 🙏
Valentina dice
Interessante punto di vista dell’articolo, e scrittura unconventional che mi ha coinvolta in una piacevole e creativa lettura 👍
Ciao Valentina
W lo Yoga 🧘♀️