Stimolato dall’articolo di Marco Invernizzi qui su Zénon sulla sicurezza medica dello Yoga, ho deciso di intervenire per aggiungere alcune mie considerazioni. Che non avranno un taglio medico e nemmeno troppo filosofico, ma vogliono esprimere il punto di vista della mia esperienza di praticante prima ancora che di modesto insegnante.
Nello spirito con cui è nato Zénon, spero che questo mio contributo da due centesimi possa avvicinare di qualche millimetro la “scienza dell’Occidente” alla “comprensione dell’Oriente”, entrambi elementi indispensabili per chi vuole vivere la nostra epoca. E soprattutto, volendo rimanere con i piedi per terra, spero di offrire degli elementi utili al lettore per entrare in contatto con lo Yoga e – lo spero ancora più vivamente – per potersi orientare nella selva di insegne luminose sotto le quali non sempre si offre un insegnamento all’altezza di questo nome.
Contenuti
Se non può far male, non può fare nemmeno bene
Innanzitutto, come una persona molto più saggia di me amava ripetere, vorrei ricordare che non esiste al mondo alcunché che possa davvero fare bene, se non può fare anche del male, quando utilizzata nel modo sbagliato. Senza quest’ultima eventualità, significherebbe semplicemente che non può fare nulla. Sorrido ad esempio quando le persone si avvicinano a metodi di cura naturali (qualunque significato attribuiamo a questo termine) nella convinzione che “tanto non possono far male” o che “al massimo non fanno nulla”, perché significa che già in partenza non vi attribuiscono alcuna efficacia.
Un coltello senza il filo della lama sicuramente è al riparo dal rischio di ferire qualcuno, ma non può nemmeno essere utile per affettare il pane. Lo sapevano bene i greci che al nome phàrmakon attribuivano due significati: quello di medicamento, che somministrato in certe dosi o in modi diversi, può essere anche veleno.
Per questo, è certamente rassicurante che – come emerso dall’articolo precedente – il rischio di infortunarsi con lo Yoga sia relativamente basso. Tuttavia ciò non significa assolutamente che lo Yoga sia innocuo. Non lo è, a prescindere dal fatto che si tratti genuinamente di Yoga o di un’attività ludico motoria che sfrutta il nome di questa disciplina senza contenere un grammo del suo principio attivo.
Pertanto inviterei a valutare attentamente la scelta di una scuola di Yoga – o, come va di moda oggi dire uno stile – e tutto ciò che in apparenza potrebbe essere considerato il contorno dell’insegnamento.
L’apparato muscolo-scheletrico non è l’unica parte di noi che può infortunarsi: ritengo infatti che integralismi, rigidità mentali e insane dinamiche di gruppo innescate soprattutto dal divismo da parte dell’insegnante siano dei veleni altrettanto dannosi quanto l’approssimazione nell’insegnare delle tecniche corporee.
Per questo, a chi sta cercando una scuola di Yoga mi sento di dare questo suggerimento: cercate l’equilibrio, la concretezza, più che l’immediata gratificazione emotiva, estetica o intellettuale.
Un certo impegno fisico è necessario, perché lavorare sul corpo ha un significato molto più profondo di quanto si possa immaginare. Tuttavia, se avvertite il lavoro fisico è fine a sé stesso, se non percepite che lo sforzo richiesto nella pratica è di natura concretamente diversa da quello impiegato nella comuni attività motorie, può darsi che ne troviate giovamento comunque, ma è probabile che non si tratti di Yoga. Non è questione di quantità di sudore e di fatica, che dipendono dalla costituzione fisica di ognuno: è una questione di qualità.
Allo stesso modo, inviterei a fuggire come la peste qualunque luogo dove si respiri aria di settarismo (chi è dentro è dentro e guai a chi si allontana) e dove si parli di argomenti che non si possano ‘toccare con mano’.
Facciamocene una ragione: nessuno ci aprirà i chakra o ci risveglierà la Kundalini con la sola imposizione delle mani, tutte cose molto belle sulla carta (anche se diamo per scontato di sapere di cosa stiamo parlando), ma di cui non possiamo avere alcun riscontro, malgrado l’idea ci faccia andare su di giri e schizzare in alto la colonnina dell’autostima.
Tutti i voli di fantasia che vi portano nelle alte sfere dell’intellettualità o della spiritualità senza mettervi a confronto con le meschinità di ogni giorno non ha nulla a che vedere con lo Yoga. C’è molta più spiritualità nel toccarsi un alluce che nel sentirsi dire dal guru di provincia che il nostro terzo occhio si è miracolosamente aperto.
Ma non è una medicina
Alcune righe più sopra ho parlato di farmaci, di terapia e di medicamenti; ebbene, scordiamo tutto questo. Dobbiamo comprendere che lo Yoga non è una medicina, né un brand che produce pillole miracolose – e immuni da effetti collaterali – sotto forma di posture, respirazioni e pratiche meditative.
Quasi ogni giorno ricevo richieste, spesso via internet (il ‘luogo’ forse meno adatto per questo tipo di suggerimenti), da parte di persone che intuiscono i potenziali benefici dello Yoga, o che hanno sentito dire che lo Yoga faccia bene per questo o per quel tipo di disturbo.
“Ho un dolore alla spalla, quale posizione dovrei fare per farmelo passare?”. “Sono sempre ansiosa, che respirazione dovrei fare per calmarmi?”. “Voglio rassodare i glutei, mi puoi suggerire un paio di esercizi che posso fare anche da sola?”.
La risposta che mi sorge istintivamente in queste occasioni è: “Tu chiedi caramelle agli sconosciuti!”. Ma siccome l’insegnante coscienzioso non dà caramelle, devo dare una brutta notizia a chi mi pone domande di questo tipo, anzi due (in realtà la delusione sarà ricompensata lautamente, ma occorrerà armarsi di pazienza e affinare i sensi per poterla apprezzare).
La prima brutta notizia
Alle domande di cui sopra non c’è risposta, almeno per chi non abbia già un’esperienza con la pratica, perché in realtà non c’è alcuna posizione che possa aiutare a risolvere questi problemi. Qualsiasi tecnica insegnata nello Yoga, infatti, presa di per sé e isolata dal contesto e da un percorso personale, cessa di essere Yoga ed è anzi potenzialmente dannosa se eseguita senza alcuna cognizione delle conseguenze che questa pratica comporta, ma soprattutto dell’obiettivo che tali pratiche hanno all’interno del sistema originario.
E per quanto riguarda il ‘contesto’ non intendo una ritualità o una sequenza di tecniche. È la pratica dello Yoga che può far bene, non una posizione o una respirazione. E la pratica dello Yoga inizia con la decisione di dedicare del tempo a questa disciplina, alzare le terga e recarsi in un luogo – o meglio provare più luoghi – dove si insegna, staccarsi temporaneamente dalla routine quotidiana ed entrarci.
So che può essere duro da digerire, visto che siamo abituati a trovare tutto su internet – “scolpisci gli addominali con questi tre semplici esercizi!” – ma almeno con lo Yoga non funziona così. È necessario ricavare, per rubare un termine ad Hakim Bey e alla controcultura degli anni ’90, delle “zone temporaneamente autonome” dai meccanismi quotidiani. Poi con il tempo verrà anche la tecnica giusta che potrà aiutarci per il problema specifico, ma senza il background di una pratica non ha alcun senso.
Lo stesso obolo dell’abbonamento mensile a un corso di Yoga – aborrito da chi ritiene che l’insegnamento delle cose altamente spirituali non debba essere inquinato dal vile denaro – ha un significato che va oltre il – legittimo, a mio parere – riconoscimento economico all’insegnante: io allievo ti do una parte del mio tempo, ti do una parte della mia energia (espressa anche in ‘vile’ denaro), non solo perché riconosco il valore di ciò che mi dài, ma perché riconosco che senza la mia energia nulla si può mettere in moto. Non possiamo pretendere di ricevere senza prima dare, così come non esistono investimenti ad alto rendimento a costo zero.
La seconda brutta notizia
Abbiamo tutti sentito dire che lo Yoga inverte il processo di invecchiamento e risolleva i seni, che distrugge la cellulite, potenzia le prestazioni atletiche, sessuali e mentali, raddrizza le schiene e cura questo o quel disturbo o che guarisce miracolosamente da malattie che la medicina ritiene incurabili. Ebbene, è tutto falso.
Lo ripeto: lo Yoga non è una medicina miracolosa, né un trattamento estetico o una preparazione atletica. Occorre precisarlo, prima che partano le class action e le inchieste per truffa contro i troppi chiacchieroni ansiosi di vendere il proprio prodotto al target di turno.
Al tempo stesso, lo Yoga può davvero aiutare a risolvere anche seri problemi di salute, migliorare l’aspetto e le prestazioni di ogni tipo. Ma c’è un grosso ma. Tutti questi benefici sono effetti collaterali della pratica. Se diventano lo scopo, lo Yoga perde il suo principio attivo. Ciò non significa che bisogna abbracciare – Dio ce ne scampi! – lo Yoga come una religione, perché è tutto fuorché una religione, per quanto certi fanatici indù ne reclamino ultimamente la proprietà intellettuale. Significa che bisogna prendere atto della necessità di risalire al nodo superiore del problema.
Ma allora, cosa ‘fa’ lo Yoga?
Quando gli antichi dicevano che il fine dello Yoga è di ripristinare lo stato naturale, non intendevano invitare il praticante a un bucolico ritorno alla terra, ma a collegarsi con la parte di sé che non è toccata da malattia, inestetismi, ansie e malesseri di ogni sorta. E, da lì, riprendere il controllo.
Questo non significa per forza guarire, ma ricollocare il malessere in una prospettiva molto più ampia della dicotomia salute/malattia, estetismo/inestetismo, ansia/quiete (come ben sintetizzato da Massimiliano Sassoli de Bianchi ne L’ipotesi stupefacente). Contenerlo, invece di esserne contenuti: è un processo complesso, tuttavia anche nell’apertura di un margine infinitesimale, anche nella sospensione fugace del fitto assillo dei processi mentali c’è una conquista inestimabile: è la dimostrazione che è possibile farlo.
“Il germe è zero, il terreno è tutto” (parole che qualcuno attribuisce nientemeno che a Louis Pasteur in punto di morte): ebbene, lo Yoga si occupa del terreno, non tanto del germe. Della premessa, prima ancora che della storia che si andrà a tessere sulla sua superficie. Per questo può essere un validissimo supporto per una terapia, ma non può sostituirsi alla terapia quando essa sia necessaria. E, proprio per questo, sono felice di poter collaborare e confrontarmi con medici, in uno scambio che arricchisce entrambi, ma non modifica gli ambiti le reciproche competenze.
La premessa indispensabile
Ma qual è allora la premessa di cui lo Yoga si occupa? Giusto pochi giorni fa mi è capitata sotto gli occhi una galleria di immagini degli allenamenti della marina taiwanese. L’articolo titolava “Lo stretching estremo degli uomini rana” e nelle immagini riconoscevo qualcosa di familiare. Nei commenti, qualcuno obiettava: “Ma quale stretching estremo, questo è Yoga!”:
Errore. Malgrado questa postura sia del tutto simile alla āsana (cioè alla postura) chiamata Supta virāsana, gli uomini rana non stanno praticando Yoga, né sembrano intenzionati a farlo.
Qual è la differenza? Se accettassimo l’equazione (stessa postura=stessa pratica), allora potrei affermare che ho visto donne in avanzato stato di gravidanza e persone di ogni età con i più svariati problemi – anche meniscopatie e lussazioni varie – eseguire la stessa pratica di “stretching estremo”. Ma così non è, perché si tratta di due cose molto distinte, tanto da essere agli antipodi.
Ancora una volta: cerchiamo la premessa! La premessa è il rilassamento e l’ascolto del proprio corpo. Che non è, si badi bene, soltanto un corpo: quando assumiamo una forma, stiamo manipolando non solo le nostre membra, ma l’intero complesso psicofisico. Per questo occorre comprendere bene di cosa stiamo parlando, visto che rilassamento e ascolto sono concetti assolutamente estranei all’educazione corporea e mentale che abbiamo (non) ricevuto.
Il nostro stesso immaginario ne è privo: ad esempio, siamo abituati a considerare il rilassamento come l’opposto del fare, o al limite come a un’alternativa, ma non come a una premessa. Immaginiamo l’uomo d’azione come un barbuto spartano corazzato di muscoli, che va incontro al nemico con la durezza di una roccia e carico di una tensione sovrumana, incurante dei colpi che lo crivellano. Ma non c’è nulla di sovrumano nella tensione. A dire il vero, agli occhi di chi pratica Yoga non c’è neppure nulla di energico.
Nel praticare Yoga, infatti, ci si muove all’opposto (e in linea, ad esempio, a discipline come il Tai Chi Chuan, anche se con modalità differenti). Si entra in posizioni che possono apparire difficili, ma lo si fa rilassati – imparando a respirare – e ascoltando attentamente dall’interno che cosa accade. Se sopraggiunge una tensione improvvisa, se incontriamo disagio o paura, in questa condizione abbiamo modo di poter osservare ciò che accade ben prima di arrivare a un punto di rottura – e, volta dopo volta, superare la difficoltà.
Solo così si può imparare a localizzare e concentrare il lavoro muscolare, evitando le tensioni inutili, ma non si tratta di una semplice ‘efficientazione’ energetica. Nel rilassamento, possiamo attingere a un bacino di energia molto più ampio di quanto la nostra mente possa immaginare. Non è un’affermazione che mi interessi qui giustificare dal punto di vista scientifico: per chi pratica, è un dato di fatto. Chiunque può farne l’esperienza.
In effetti, il rilassamento e l’ascolto non possono essere meccanizzati. Non si conseguono semplicemente compiendo una sequenza di posture. Non schiacci un bottone corporeo e ti rilassi. Per rilassarsi occorre porre la massima attenzione e, se si ascolta veramente, nessuna esecuzione è uguale alle precedenti. Si compie ogni gesto per la prima volta, ogni volta. Praticare Yoga significa disinnescare il pilota automatico, de-condizionare mente e corpo piuttosto che condizionare i muscoli a compiere un lavoro, mentre la mente vaga altrove.
Proprio per questo, il rilassamento può essere molto ‘faticoso’, per chi non vi è abituato. E, proprio per questo, il rilassamento è la premessa non solo per il lavoro fisico, ma anche per la concentrazione. Ma il discorso ci porterebbe molto oltre…
In altre parole, il lavoro parte dall’interno, ha l’obiettivo di coinvolgere e dirigere l’intero complesso (fisico, emotivo e mentale, senza escludere alcun aspetto dal campo di osservazione), mentre il risultato esteriore ne è la semplice conseguenza e ha una rilevanza relativa, perché dipende da molti fattori.
Paradossalmente, chi ha molte rigidità fisiche potrebbe trovarsi avvantaggiato, proprio perché il suo corpo esigerà la massima attenzione; al contrario, chi è molto sciolto potrebbe invece trovare molto più difficile entrare nella pratica, proprio per l’assenza di difficoltà fisica, e dovrà impiegare molta più energia per mantenersi vigile.
In conclusione…
In conclusione, com’è possibile infortunarsi con lo Yoga, date le premesse indicate sopra? La risposta potrebbe essere semplice: se ciò avviene, è per un difetto nell’insegnamento (dell’insegnante o addirittura del metodo).
O non si conduce l’allievo nella giusta condizione di rilassamento e di ascolto, o si insegnano le posture non correttamente, oppure l’allievo viene forzato oltre i propri limiti: è vero che il limite è qualcosa da superare, ma il compito dell’insegnante è farlo conoscere all’allievo, il quale dovrà superarlo da solo, liberamente, quando arriverà il momento, con tutti gli strumenti che avrà ricevuto.
Ma questa risposta potrebbe essere troppo semplice. L’invito che posso fare è, appunto, osservare e valutare attentamente non soltanto con il raziocinio, ma anche “a pelle”.
Nella mia esperienza con lo Yoga ho avuto due grandi fortune. La prima è di avere incontrato degli insegnanti straordinari, che hanno avuto e hanno una grande pazienza nei miei confronti, dimostrandomi che in primo luogo l’importanza del rispetto per l’allievo e per la sua libertà di scegliere se e quando superare un certo limite: al di fuori della libera scelta, infatti, non vi è pratica di Yoga.
La seconda fortuna in realtà è anteriore cronologicamente, ma ho imparato a considerarla tale solo con il senno del poi: il mio primissimo contatto con lo Yoga fu un disastro, perché incontrai un insegnamento molto rigido, perché contemplava unilateralmente lo sforzo.
Questo incontro mi procurò qualche grattacapo, non tanto fisico, ma altrettanto insidioso dal punto di vista dell’atteggiamento. Alla luce dell’esperienza seguente, imparai che lo Yoga non è sfondare una porta a testate, ma fabbricare la chiave che permette di mettere in moto la serratura.
Queste due fortune mi hanno fatto conoscere entrambi i lati della medaglia e mi hanno fatto comprendere che insegnare Yoga è una grande responsabilità, perché non si gioca con il prossimo e con i suoi limiti, i quali hanno cause molto profonde che non vanno giudicate. Sono anzi una fonte inesauribile di scoperta e di insegnamento per l’insegnante stesso.
Infine, last but not least, ho avuto anche una terza fortuna: ho incontrato e incontro molti allievi straordinari, che mi stupiscono ogni volta. E devo anche a loro, oltre che ai miei insegnanti, quel poco che ho imparato e che ho cercato di esporre in questo articolo.
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Riccardo dice
Chi ha scritto questo articolo non ha minimamente idea di cosa sia lo YOGA. Vi do un video di riferimento
Redazione Zénon dice
Bene, ottimo esempio dell’atteggiamento integralista che nell’articolo si invita a evitare. Se si parte da questa premessa, che senso ha discutere – e infatti non ritieni di dover argomentare, ma contrapporre la tua verità – a parte l’autopromozione del video stesso?
Riccardo dice
Il video non è mio, ma aderisco in pieno a questo movimento di pensiero che sta nascendo, atto a screditare e sbugiardare tutti i ciarlatani new age che uccidono le tradizioni spirituali… proprio come te.
Lo yoga è una disciplina unicamente spirituale.
Le asana sono una piccola parte, molto secondaria.
Lo scopo è il samadhi attraverso il dhyana… e questo lo insegnano i più grandi maestri della tradizione, da Shankara ad Abhinavagupta, da Vivekananda a Yogananda, Da Vashishta a Vishvamitra.
Sei tu che sei un ignorante e consideri lo yoga come una pratica fisica, al pari di una ginnastica posturale, e ti metti a scrivere idiozie senza senso espandendo agli altri la tua stessa inettitudine.
Gli occidentali saccenti come te sono la morte dello yoga.
Redazione Zénon dice
Amen!
romeo dice
Vedo che non sono il solo a reputare pessimo questo articolo.
Riccardo ha espresso in pieno le mie idee.
romeo dice
Perdonami ma parti da un concetto errato… è chiaro che lo yoga è una merda se parti dai presupposti che hai scelto tu…
Francesco Vignotto dice
Romeo, perdonami tu la domanda, ma hai letto l’articolo fino in fondo? Dove sarebbe scritto che lo Yoga sarebbe “una merda”? E quale sarebbe il concetto errato?
romeo dice
Sto leggendo i commenti degli altri utenti… sia Riccardo che Amrita hanno argomentato a sufficienza.
Quello di cui si parla in questo articolo non è lo Yoga dei maestri indiani, è solo la rilettura occidentale che ne ha praticamente eliminato il 99,9%.
Il video linkato da Riccardo è molto chiaro e smonta in pieno la vostra concezione di Yoga, vi consiglio di scrivere meno idiozie e di studiare di più quella che è realmente la Scienza dell’Unione con l’Assoluto (yoga).
Luigi Rigolio dice
Complimenti per questo articolo, molto onesto e centrato
Stefano dice
davvero un bell’articolo, è difficile trovarne cosi sull’argomento 🙂
Amrita dice
Bell’articolo,ben scritto e presentato, eccetto per il fatto che si confonde tra Vyayama e Yoga, lo Yoga non e’ un esecizio fisico e l’autore usa il termine Yoga quando invece sta descrivendo la comune e diffusa pratica di Vyayama che oggigiorno viene spacciata per Yoga.
Le parole hanno significati propri, ed e’ importante e fondamentale usare i termini appropriati.
Yoga e’ Yoga ed ha come scopo lo Yoga.
Vyayama e’ Vyayama ed ha altri obiettivi : benessere fisico, agilita’, aumento massa muscolare, riabilitazione fisica etc.
Inviterei l’autore dell’articolo a fare ulteriori ricerche e studi nell’ambito dello Yoga e a non soffermarsi unicamente su cio’ che gli e’ stato insegnato, ed ancora di piu’ lo inviterei a non alimentare la ignorante e diffusa associazione “asana=yoga”.
Redazione Zénon dice
Amrita, perdoni l’ignoranza dell’autore dell’articolo. Si è evidentemente soffermato su alcuni testi come lo Hata Yoga Pradipika o il Gheranda Samhita, dove l’errore da lei segnalato è stato incresciosamente commesso, associando il nome dello Yoga alle descrizioni delle asana. Provvederemo a segnalare anche agli autori di tali testi, che sicuramente nulla hanno a che vedere con lo Yoga, il riprovevole refuso e li inviteremo a emendarlo. Inoltre, non permetteremo più all’autore di questo articolo di diffondere questa errata concezione dalle nostre pagine, invitandolo a un ritiro di formazione al vero Yoga che ci può segnalare utilizzando il modulo dalla pagina contatti.
Amrita dice
Se mi citi i versi del Gherarda o hatha yoga pradipika dove la parole Yoga viene equiparata al vyayama vi do ragione.
Asana E’ parte dello Yoga , non e’ la sua interezza, praticare un Asana estrapolata dall’hatha yoga non necessariamente indica la pratica dello Yoga, anzi ci sono chiari versi dell’hatha yoga pradipika che indicano che lo scopo dello yoga e’ Samadhi o Raja Yoga.
Quindi ne deduco che l’autore ha una conoscenza scarna dell’Hatha Yoga cosi’ come inteso dalla Nath Sampradaya ( i test classici Hatha Yoga provengono da tale tradizione).
Dire che lo Yoga puo’ avere effetti collaterali negativi e’ un controsenso. Dire che la pratica delle Asana se estrapolata dallo Yoga e praticata in maniera inconsiderata puo’ avere effetti negativi e’ piu’ corretto.
La pizza margherita e’ fatta con pomodoro , mozzarella e basilico, se estraggo la mozzarella fuori da una pizza , non posso chiamare la mozzarella Pizza ( potrei anche, ma commetterei un errore), la mozzarella e’ mozzarella, la pizza ( anche se contiene la mozzarella) e’ pizza.
Dato ce mi citi i testi classici dell’hatha yoga, inviterei l’autore e la redazione a rivederli e comprenderli un po meglio, aggiungerei anche lo studio dei testi di Goraknath, fondamentali per comprendere cos’e l’hatha Yoga.
Redazione Zénon dice
Amrita, fuori di burla, ma non riusciamo – probabilmente per nostra limitatezza – a comprendere quale sia il problema. L’argomento verte sulla sicurezza dello Yoga, o di come lo vogliamo chiamare, per chi si appresta a questa pratica, così come viene comunemente insegnata. In nessuna parte di esso viene detto che lo Yoga si limita alle sole asana, ma anzi ci sono ripetuti inviti a comprendere come anche l’esecuzione dell’asana comporti degli aspetti che vanno molto oltre la questione puramente corporale. Non era nostra intenzione fare un trattato onnicomprensivo della disciplina e della sua filosofia, ma più modestamente offrire una testimonianza di un modesto praticante.
romeo dice
Complimenti Amrita. Anche tu hai saputo esprimere in pieno il mio pensiero. Per fortuna non sono solo…
Purtroppo è pieno di ciarlatani che confondono lo yoga, il cui unico scopo è il samadhi, con la ginnastica… la cosa ridicola è vederli citare l’Hata Yoga Pradipika a casaccio… e la cosa vergognosa è che tali individui probabilmente avranno anche dei centri yoga e spilleranno soldi a dei poveri disgraziati insegnandoli chissà quali idiozie.
Hai citato il Nath Sampradaya, conosci per caso un ragazzo che sul web si fa chiamare Luca Sadhaka, collegato alla pagina “Da grande voglio fare il buddha”? Anche lui cita spesso la tradizione Nath.
Amrita dice
Basta leggere cio’ che ho scritto sopra, la confusione e’ tra “esercizio fisico” e Yoga, il primo puo’ essere dannoso a livello fisico, il secondo NO.
Il punto e’ che in generale ci si confonde ancora tra l’uno e l’altro.
Se le Asana vengono esguite nel contesto Yogico , ovvero “consapevolezza” ed “ascolto interiore”, non puo’ esserci danno fisico.
L’asana per definizione (Patanjali) e’ una posizione “comoda” e “stabile”.
Se le posizioni vengono eseguite con lo scopo di riuscire ad ottenere una particolare posizione , per perdere peso, per fare muscoli o diventare un contorsionista, per curarsi da un mal di schiena etc.etc. ci troviamo nella pratica del Vyayama ,le asana eseguite a tale scopo, se non supervisionate da un esperto , possono apportare danni fisici.
Vyayama e’ Vyayama
Yoga e’ Yoga
Vyayama spesso viene “venduto” per Yoga, chi conosce lo Yoga, conosce la differenza.
Se mi intitoli un articolo: ” no , lo Yoga non e’ sicuro: effetti collaterali” e poi di specifico ti riferisci alla pratica delle Asana fatte in maniera inconsapevole, allora ti dico che stai parlando di Vyayama e non di Yoga, Lo Yoga e’ altro.
In USA nel 90% di “yoga studio” si pratica Vyayama , anche se i praticanti chiamano la loro pratica “Yoga” .
Ritornando alla “pizza” e “mozzarella”, se chiamo la mozzarella “pizza”, la mozzarella non si trasforma in pizza.
Non e’ necessario inoltrarsi in aspetti filosofici, l’errore di base e’ l’uso incorretto dei termini,
e personalmente penso che le parole hanno il potere di svelare particolari significati, ed e’ necessario preservare l’integrita’ di tali siglificati per poter comprendere particolari percorsi.
romeo dice
Sprechi fiato… non ti capiranno mai.
La visione dello yoga stile ginnastica è troppo radicata. Tu parli di Unione con l’Assoluto e citi Gorakshanath, questi calzolai non hanno neanche una sadhana e pensano che il samadhi si possa comprare nei corsi di Reiki…
Guarda il lato positivo, almeno in questo articolo non si parla di alieni/angeli/esseridiluce…
Amrita dice
Romeo, io penso che l’autore dell’articolo sia un ricercatore serio e come tale apprezzo il suo lavoro, essendo anche io un ricercatore in materia da molti anni mi sento in dovere di esprimere la mia opinione a riguardo, che la mia opinione poi venga presa per puro criticismo e rigettata perche’ non compresa , non e’ un problema mio.
Comunque non conosco nessun Luca Sadhaka.
Amrita dice
E comunque non credo che l’autore dell’articolo sia un cialtrone, i cialtroni sono da ricercarsi altrove, spesso sono da ricercarsi da chi cerca di venderti Sadhana, Mantra , Kriya etc. sotto le vesti di Yoga Tradizionale, di sicuro questi cialtroni sono piu pericolosi di chi insegna le asana per far perdere peso .
L’autore e’ chiaramente in buona fede e spiega in maniera chiara la sua esperienza, il mio non e’ un attacco personale ne tantomeno una critica fine a se stessa.
Lo scopo e’ chiarire il significato di termini che spesso vengono confusi o applicati in maniera tale da ridurre il significato del termine.
Ne tantomeno considero la pratica delle Asana una pratica superficiale e non “spirituale”( pratico Asana quotidianamente)
E non considero la pratica dello Vyayama ( esercizio fisico) come una qualcosa di materialista, basso, infimo.( Faccio Vyayama ogni volta che ne sento il bisogno)
L’essere umano ha la necessita’ di sentirsi bene a livello fisico e mentale, ed e’ importante fare le pratiche fisiche atte a tale scopo.
Tuttavia chiamo le cose col loro nome.
Massimiliano Sassoli de Bianchi dice
Grazie Francesco per l’ottimo articolo. Sorprendenti alcuni dei commenti, soprattutto per la mancata contestualizzazione del tuo scritto. Penso sia del tutto evidente, se non altro per chi ha realmente letto il tuo articolo, che il suo focus è la pratica delle Asana, e non la visione dello Yoga Integrale. Altrettanto sorprendente è osservare come individui che, a loro dire, sarebbero su un cammino di ricerca pratica spirituale, anziché promuovere maggiore chiarezza e favorire uno scambio intellettualmente onesto, altro non fanno che esibirsi in attacchi ad personam del tutto gratuiti. È un bell’esempio di come, cercando di squalificare qualcuno, si ottiene unicamente, ritengo, la propria auto-squalifica. Come giustamente ribadisci, partendo da questa premessa non è possibile discutere, dal momento che, con ogni evidenza, chi ti attacca non è interessato al dialogo. Detto questo, attiro l’attenzione di chi ci legge su un aspetto. Molti dei commenti di cui sopra sono espressione di una fallacia logica, in cui si dà per scontato che l’autore dissenta dall’idea che lo Yoga sia un percorso spirituale integrale, di cui le asana costituiscono solo un aspetto. Sulla base di questo falso presupposto, si costruisce l’argomento circolare, volto alla dimostrazione ad hoc della propria tesi: io ho ragione e so cos’è il vero Yoga, l’altro ha torto e quindi non capisce nulla. E per andare sul sicuro, si aggiunge anche il vile “argomento ad hominem”: non solo l’altro ha torto, ma è anche per definizione un povero ciarlatano, cosicché nel caso poi ribadisse qualcosa di intelligente, è comunque squalificato in partenza. Purtroppo, di fronte modalità comunicative disfunzionali di questo genere, altro non resta da fare, come diceva Eric Berne, che “rompere i giochi”.
Francesco Vignotto dice
Ti ringrazio Massimiliano. Per quanto riguarda i commenti, è un esempio molto interessante dei “vortici della mente” che lo Yoga ha lo scopo di sospendere, oltre che avermi divertito molto (leggendo qua e là notavo che in alcuni tratti si usavano quasi le identiche mie parole per confutare l’articolo, il che la dice molto lunga sulla capacità di ascolto, anche a livello puramente di lettura).
Vorrei anche fare una precisazione: se è un errore (come ho sottolineato nell’articolo) considerare lo Yoga una disciplina unicamente fisica, è a mio avviso altrettanto un errore (come ho sottolineato nell’articolo) il rifiuto della dimensione corporale o anzi considerare tale dimensione come separata, subalterna o addirittura meno nobile rispetto alla dimensione intellettuale o – anche se qui ne siamo molto lontani – spirituale.
Marco Invernizzi dice
Cari Massimiliano e Francesco, concordo pienamente con voi ed esco dal silenzio che ho mantenuto riguardo ai 20 commenti precedenti proprio perchè ritengo che siano stati più utili di altrettanti articoli sullo Yoga, magari non scritti soltanto da Francesco 🙂
Detto questo, e per non ripetere le vostre considerazioni sul “non dialogo” a cui mi associo completamente, concordo che per quanto interessante e ricchissimo di insegnamenti, il gioco giustamente “va rotto”.
Ringrazio tutti per la partecipazione
Amrita dice
Non intendo confutare l’articolo, quello che ho detto , e lo ripeto:
Yoga e’ Yoga
Vyayama e’ Vyayama
Il primo non ha effetti collaterali ( per DEFINIZIONE)
il secondo puo’ averli
Mai detto che lo yoga rifiuta la componente corporea e mai denigrato le attivita’ fisiche.
Anzi considero il lavoro col corpo essenziale.
So benissimo che tu sai (in quanta lo hai scritto) che lo Yoga e’ ascolto , consapevolezza, chitta vritti nirodaha etc.etc. quindi se non c’e’ ascolto e consapevolezza NON c’e’ Yoga.
Se c’e’ Yoga , c’e’ ascolto ,consapevolezza e no effetti dannosi.
Mi sembra abbastanza chiaro e logico.
Se mi parli di effetti collaterali , probabilmente il praticante non sta a praticare Yoga ma Vyayama.
lo Yoga per il mal di schiena ( per esempio) non esiste (per DEFINIZIONE di yoga), esiste una serie di asana che puo apportare benefici , tali asana sono Vyayama e non Yoga.
Lo yoga per far fare il culo sodo non esiste, e’ Vyayama che puo’ far ottenere tali risultati.
Il fatto che oggi una buona parte chiama Vyayama “Yoga” ,non fa del Vyayama una pratica yogica.
Di nuovo se chiamo mozzarella “pizza’, la mozzarella non diventa una pizza.
Il titolo dell’articolo e’ contraddittorio.
Se lo avessi intitolato “le asana possono avere effetti collaterali dannosi” o qualcosa del genere, avrebbe avuto piu senso e di certo meno critiche.
Grazie per aver riattivato la possibilita’ di commentare .
Amrita
Yogi Adinath salvo alfieri dice
Adesh adesh
Francesco ha dato il suo contributo. Dice il vero, lo sfiora, nulla di vero? Chi è che può saperlo? Sono d’accordo con lui su tutto, in parte, in nulla? Bene, molto bene. Lui ha la sua pratica, io la mia, ognuno la sua. Ed ognuno dovrà fare la propria fatica per trovare la propria.
Chi potrebbe dubitare del fatto che lo scopo dello yoga sia il Samadhi? Ma chi potrebbe altrettanto dubitare del fatto che il “desiderio” del Samadhi sia un grande ostacolo al suo raggiungimento? Qualcuno pensa di ottenerlo saltando come una scimmia? Ben per lui e buon viaggio. Qualcuno pensa di ottenerlo con letture e conoscenze? Ben per lui e buon viaggio. Qualcuno pensa di ottenerlo seduto per ore come una gallina che cova? Ben per lui e buon viaggio. Qualcuno pensa di ottenerlo facendo stravaganti crociate sul web in nome di una qualche idea di pura tradizione yogica? Ben per lui e buon viaggio. Solo una nota per coloro che percorrono questo ultima e stravagante via (lo yoga è pieno di vie stravaganti, quindi nulla che ci stupisca); questo con il nath sampradaya c’entra poco a quanto ne so. Ma sono ovviamente pronto a più specifiche e nuove informazioni
Om namah shivaya
Gayatri Devi dice
Infatti stavo per fare un commento fuori luogo dovuto al misunderstanding su Facebook di questo articolo. Volevo protestare “Non è vero che lo Yoga è dannoso!” e come diceva un mio caro amico presidente della Federazione Europea Yoga e fondatore del Club Mediterranee, dire: “Uno Yoga che fa male è uno Yoga fatto male!”. Ma mi devo ricredere. Questo è un articolo pacato e preciso. Sono anch’io un po’ integralista, una reazione dovuta agli stereotipi della superficiale NewAge con i vari angeli e arcangeli, il “ama te stesso” “fai quello che ti piace”, gli “Yoga-Juice (per dei beveroni bio) o gli Yoga-bike (per una passeggiata con la bici per raggiungere un prato dove fare una comunissima pratica di Asana), Yoga antigravity (come se ci fosse bisogno di nastri e funi per eliminare la gravità) e l’assurda pretesa dello Yoga della risata (una risata per essere terapeutica non può essere in sintonia con il significato di Yoga anche solo in senso etimologico del termine). Devo dire che quello che le persone hanno commentato su FB non è lo stesso articolo che hanno linkato. Beh, mi complimento per la chiarezza e la profondità della visione Asana, mai spiegati meglio, sig. Francesco Vignotto. Non sono una gran fanatica dell’HathaYoga Pradipika (dello Yoga preferisco la parte filosofico-spirituale) e nemmeno del grande Goraknath-Goraksha (sono stata nell’ashram a lui dedicato, a Gorakhpur, un tempio per tutti gli hatha-yogin) collocabili circa alla fine del medioevo. La linea Nath è una linea (sampradaya) e non essendo simpatizzante delle linee (ne ho vissute sulla mia pelle 3: Bharati, Saravati, Giri) in genere preferisco seguire la mia che è approdata principalmente sugli insegnamenti di Patanjali (400 a.C. 400 d.C) Yoga Sujtra, Raja Yoga… Ebbene, dopo tutti i commenti, anche troppo negativi, mi sembra doveroso dire che intuisco nell’articolo un bel lavoro che va al di là dei soli asana ma che sotto sotto veicola anche molto dello spirito yoghico. Negli Yoga Sutra di Patanjali su 96 sutra solo 3 sono dedicati agli asana. Ma sono molto intensi e, sebbene pochi, sono esaurienti. Il corpo non si può dimenticare, è un mezzo, come un punto dove un atleta poggia il piede per fare un balzo in alto o in avanti, e, come una macchina è indispensabile per giungere alla fine di un viaggio, anche il corpo è un mezzo indispensabile all’essere umano per arrivare a toccare vette infinitamente sublimi. E vorrei dire a chi si pensa magari su una strada elevata e più vicina alla meta disprezzando coloro che sembrano più in basso… attenti! come diceva l’Aghori Vimalananda: “Quello che si pone troppo in alto è costretto prima o poi a rotolare in basso…” Hari Om Tat Sat
Francesco Vignotto dice
Ti ringrazio Gayatri per aver espresso il tuo parere dopo aver letto l’articolo. Una domanda che mi è sorta leggendo gli interventi qui e su fb (a parte il non essere andati oltre il titolo, e averlo pure trasceso, ma tant’è): nello Yoga viene prima la pratica o poi la teoria? La mia esperienza mi ha condotto a ritenere che non si possa iniziare a comprendere i testi antichi sullo Yoga senza un’esperienza pratica (e – a questo punto credo di doverlo specificare – non intendo le sole asana). Da quel che emerso più sopra, invece, mi sono fatto l’idea che esista un estremo bisogno del conforto di una pezza dottrinale, un’appartenenza a una linea (che in fondo, trascesa in questo modo, è come dire una setta), della dimostrazione di una ortodossia alle scritture. In altre parole, ha bisogno di una identificazione. Cosa abbia a che vedere tutto questo con lo Yoga, non ne ho idea, e del resto lo stesso Patanjali andrebbe letto attentamente su questo punto, alla voce “modificazioni della mente”. Alla fine, per tanto così, non valeva la pena continuare a frequentare la parrocchia?
Amrita dice
Anche io non simpatizzo le ortodossie delle scritture ( e le ortodossie in genere), i riferimenti all’Hatha Yoga pradipika ed al Gherarda Samitha sono state tirate in ballo ( anche un po a casaccio ) dalla “Redazione Zenon”, al mio commento sulla distinzione tra Yoga e Vyayama. Riguardo Teoria e Pratica, non ci vedo differenza lo Yoga e’ pratica, e’ la pratica di una Teoria ( Samkhya/Tantra) , cosi’ come Vyayama e’ pratica, la praticha fisica atta a : stare bene, dimagrire, perdere peso, rassodare il sedere, guarire il mal di schiena etc. etc.
PS. e per pratica naturalmente non intendo esclusivamente pratica delle Asana.
Francesco Vignotto dice
Amrita, sei un disco rotto. Ti faccio notare che questo è il settimo commento in cui ripeti lo stesso concetto, più l’email in privato che ci hai mandato per ripetere esattamente la stessa cosa (peraltro, se ti decidessi a leggere l’articolo…). Se vorrai fare un passo avanti, sarai il benvenuto, ma se hai scambiato questo spazio per lo sfogatoio della tua necessità di autoimporti, questo è l’ultimo commento che ti verrà approvato. Ci sono centinaia di siti e di riviste che assimilano lo yoga a una ginnastica dove ti puoi sfogare con la mia benedizione.
Yogi Adinath salvo alfieri dice
Per alcuni è anche un bisogno di appartenenza, per altri un cammino solitario, ma non è che qualcuno abbia ragione più di alti. Yoga è un termine generico, tante pratiche e tecniche, tante parole e discendenze, terre lontane e discipline differenti. Lo stesso patanjali altro non è che un ordinatore braminico, diciamo un normalizzatore, di cammini piuttosto eterodossi ed in buona parte estranei ed avversi alla cultura vedica; e come generalmente i testi “normalizzanti”, è più interessante per ciò che nasconde che per quello che dice.
La teoria è divertente, se studiata con cura filologica (fuori dai pastoni neo indù o newage) anche istruttiva. Di certo astratta se non accompagnata (meglio preceduta) dalle esperienze. La letteratura yogica è tutta comunque di tipo esperienziele, perfino quella più schiettamente filosofica si shankara, se non accompagnata dalle esperienze si presta a madornali fraintendimenti. Personalmente ho poco interesse pratico per la parola yoga quando non accompagnata da hatha (ma appunto è un’opzione personale), ed anche questa seconda “parolaccia” tendo ad interpretarla storicamente, connessa con le mutazioni politiche, sociali ed economiche della storia del subcontinente indiano. Connessa con i culti antichi.
Altre parole, invece, come “spirituale” mi sono del tutto sconosciute nel loro significato. Dunque faccio fatica a commentarle.
Per quanto riguarda la parrocchia, i tifosi degli yoga sutra dovrebbero comunque ricordare che esso è appunto un testo di ortodossia, per cui il legame con la religione organizzata è storicamente insolubile. “Setta” nella tradizione indiana, buddista, come del resto nel cristianesimo riformato, non ha affatto connotazione negativa, ma serve solo a distinguere quelle comunità di praticanti che si distinguono per una linea di discendenza (gurum paramparam), da asceti solitari che hanno ottenuto la conoscenza dello yoga per altre vie (scoperta personale, iniziazione da esseri non umani, ecc.). Non vi è, se non per ristrettezze mentali, concorrenza tra le due varietà…
Per quanto riguarda i pericoli, tenderei a dire che uno yoga senza pericoli non è yoga. E visto che è stato tirato in ballo perfino Vimalananda, vorrei ricordare come egli (o chi per lui) affermi che chi si inoltra in questo sentiero dovrebbe ben mettere in conto i tre grandi rischi: malattia, follia, morte. Per chi si vuole rilassare meglio il cinema, per chi cerca “spiritualità” la parrocchia non andrebbe esclusa a priori, e per chi cerca una saldo panteismo spinoza rimane insuperabile.
Om namah shivaya
Francesco Vignotto dice
Salvo, sottoscrivo quasi ogni parola. Per quanto riguarda i testi, bisogna sempre tener presente che sono stati scritti in un’epoca e in un luogo (e sotto l’influenza – o contro di essa – di un potere dominante). Considero lo Yoga uno strumento esperienziale, nelle sue innumerevoli sfaccettature, peraltro non l’unico.
Quanto alla parola “spirituale”, anche per me è difficile commentarla, ma è altrettanto di difficile denotazione il termine “corporale”.
Vorrei aggiungere una nota sulla questione del pericolo. A mio parere, è sacrosanto che una persona possa oggi avvicinarsi allo yoga semplicemente perché lo fa stare meglio, qualunque cosa significhi questo termine. E’ altrettanto legittimo quanto lo sono le aspirazioni “più alte” (posto che stiano in alto) di chi invece vuole andare più a fondo. Per alcuni è già abbastanza, per altri non lo sarà mai, e non è raro che a perseverare sia poi chi ci è capitato dentro per sbaglio. Come insegnante, comunque sia, mi sento in dovere di fornire una pratica ‘sicura’. E per sicura intendo immune da casini inutili, dacché da quelli utili non si può scampare.
Yogi Adinath salvo alfieri dice
Sì, di solito a perseverare è chi è arrivato per caso, senza aspettative e magari anche con qualche pregiudizio.
Per la sicurezza io invito tutti a non praticare con me, cercare piuttosto un buon insegnante… Poi la porta è aperta sempre, in entrata come in uscita.
Lorenzo dice
“La mente…mente ! “.
Desidero ricollegarmi a quello che è stato indicato, in un intervento sopra, come lo scopo dello yoga e che, in un altro intervento, viene confermato come tale, ovvero il raggiungimento del Samadhi.
Non lo so, semplicemente perché non so cosa sia il Samadhi; non lo so perché non l’ho toccato di persona e conseguentemente non ne ho un’esperienza diretta. Potrei farne una diffusa dissertazione teorica sulla base di ciò che ritengo di avere compreso dalle letture dei testi indiani e di diversi, nonché ,ottimi testi attuali, ma ritengo che sia opportuno avere prudenza nel diffondere la propria presunta comprensione se non avallata dalla esperienza diretta. E’ troppo facile, infatti, cadere nell’illusione di avere “capito” con il solo ausilio del ragionamento mentale, facilmente falsato e fuorviato dalle suggestioni nelle quali inevitabilmente si incorre quando ci si limita al ragionamento teorico senza una diretta sperimentazione.
Con la mente ce la possiamo raccontare, al punto di auto convincerci di avere “compreso”, e questo perché possiamo permetterci di stabilire mentalmente i termini di tale comprensione: come dire, giochiamo in casa ! Con il corpo ciò non è possibile ! Se con la mente possiamo autosuggestionarci al punto da ritenere di essere assurti a chissà quali stati elevati di coscienza, con il corpo non ce la possiamo raccontare: se i glutei non toccano terra perché le ginocchia gridano vendetta, o le caviglie non si distendono, e allora inarcare la schiena diventa proibitivo e infine distendersi al suolo rilassatamente con le gambe ripiegate lungo i fianchi risulta impossibile, allora è improbabile poter affermare di essere correttamente entrati nella postura di Supta Virasana, la stessa postura che Francesco indica nel suo articolo.
L’ Hata Yoga è tutto qui: ci fa prendere coscienza dei limiti del nostro corpo e ci direziona ad affrontarli e superarli. Come? educandoci ad affrontare le rigidità attraverso un attento e graduale lavoro nel quale corpo, mente ed emozioni cooperano sinergicamente per sciogliere
vicendevolmente ogni tipo di blocco sia fisico, che mentale, che emozionale. Il Corpo ci farà da cartina al tornasole di quanto il nostro cimento sia ben direzionato o necessiti di correzioni. Lo yoga non finisce qui, ma inizia da qui.
Bene ! allora, se una persona si rivolge ad un insegnante di Yoga esprimendo il desiderio di sperimentare lo Yoga, non è utile infarcire questa persona di teoria e di Samadhi, ma è utile farle cominciare il percorso dal punto che lo Yoga prevede si parta. E da questo punto, prende le mosse l’ottimo articolo di Francesco con le giuste indicazioni e le giuste considerazioni in termini di corretto approccio per evitare che vi siano danni. Là dove c’è un corpo umano e tale corpo si muove, vi è rischio di danni fisici; non solo, ma lo Yoga forse comporta addirittura una dose maggiore di rischi, visto il proposito di andare contro le rigidità e di scioglierle; ma dato che il conseguimento di tal proposito si attua non attraverso la forzatura bensì, proprio per la natura intrinseca dello Yoga, attraverso il contrario di forzatura ovvero attraverso il rilassamento, ecco che nasce l’esigenza di affinare il discorso e puntualizzare i termini di come svilupparlo, cosa che Francesco fa magistralmente nel suo articolo mettendo a frutto la sua esperienza di praticante e di insegnante.
Sinceramente non comprendo la levata di scudi di alcuni interventi qui e, a maggior ragione, se gratuitamente offensivi: Lo Yoga è una materia che necessiterebbe di pratica e di silenzio, rotto solo dalle parole dell’insegnante che istruisce, indirizza e corregge i suoi allievi; il resto è esperienza che ognuno di noi vive dentro di sè e della quale sperimenta gli effetti; di questa sperimentazione è oltremodo utile parlare, scambiare e condividere: Di ciò presuntuosamente vorremmo che fosse, per illusione o suggestione o peggio per ignoranza, un pò meno.
Elisabetta dice
Grazie per questo articolo perché essendomi appena avvicinata a questa meravigliosa pratica intuivo tutto questo e lei in modo semplice me lo ha finito di chiarire
Andrea dice
Se il raggiungimento dei più alti livelli spirituali stimolati dalla pratica del “vero” yoga porta la persona ad esprimersi nel modo arrogante e offensivo come negli esempi di cui sopra allora è meglio che io trovi un’altra via verso l’illuminazione.
davis dice
Un che dice “il vero yoga” dice già tutto di se e di dove si trova spiritualmente :)))
Giovanni De Rosa dice
L’ articolo molto ben ponderato e dai contenuti assolutamente condivisibili, mi è stato inoltrato da un’ insegnante di yoga.
Qualche riserva sulle responsabilità dell’ insegnante o del metodo in caso di infortunio:
– un insegnante per quanto capace, sensibile ed accorto non è detto che possa riuscire sempre a percepire, a comprendere le infinite asperità del corpo di un allievo (asimmetrie, rigidità etc etc) e a guidarlo nel superamento di esse.
Il percorso credo sia molto personale e l’ insegnante è una guida, importantissima ma solo una guida.
– Alcune declinazioni dello yoga (personalmente preferisco “declinazione” a “stile”) richiedono che il corpo di un allievo debba avere una certa struttura (e.g. ashtanga/vynasa). Altrimenti per quanto si rispetti la progressione didattica, la possibilità di infortuni rimane molto elevata.
Aggiungo che non sono un insegnante ma un allievo ed un assiduo praticante.
I miei più sentiti complimenti all’ autore dell’ articolo. Giovanni.
Francesco Vignotto dice
Ciao Giovanni,
ti ringrazio per il tuo commento e per le tue osservazioni, che sono molto interessanti. Premetto che nel tempo trascorso dalla stesura di questo articolo ho avuto modo di rivedere alcune posizioni e forse – grazie anche ai tuoi spunti – approfondirò questi temi con un altro articolo. Nel frattempo:
Da un punto di vista legale l’insegnante è responsabile di ciò che accade nella sala. E, direi, anche da un punto di vista etico e “professionale”. È vero che non sempre l’insegnante può accorgersi da sé delle problematiche dell’individuo, ma proprio per questo è necessario incoraggiare fin dal primo incontro l’allievo a comunicare le proprie difficoltà o che stia vivendo una condizione particolare. A volte però nemmeno l’allievo ne è consapevole. Un esempio eclatante è il caso della gravidanza, che non sempre viene comunicata subito anche perché possono passare alcune settimane prima che la donna sappia di essere incinta. Tuttavia, ritengo che un lavoro equilibrato debba guidare l’allievo più all’ascolto complessivo del proprio corpo che all’adesione a un modello. Più al percorso verso un’asana e a vivere la sua qualità che al rincorrere il risultato finale che non sempre – anzi, mai alla perfezione – è possibile realizzare.
Proprio per questo non mi sento molto in sintonia con quelle declinazioni dello yoga che vertono sul far aderire il corpo a modelli che non necessariamente (anzi, raramente) gli sono propri, perché le diverse proporzioni fisiche faranno in modo che ogni corpo assuma la posizione diversamente. La pratica delle asana nello yoga, secondo la mia opinione, serve a decondizionare il corpo, non a sovrapporre altri condizionamenti a quelli già esistenti. Non a caso, alcune di queste declinazioni storicamente traggono origine in ambienti (vedi il famoso palazzo di Mysore) in cui erano in uso le punizioni corporali… che credo abbiano poco a che fare con lo yoga.
Grazie ancora per il tuo commento!
Veronica Villalba dice
Mi è piaciutto tantissimo !! certo che al inizio il titolo era un poco confuso ma dopo averlo letto “TUTTO” veramente ha un senso e condivido en pieno… Grazie e Namastè grande anime !
Stefano dice
Salve, sono un insegnante di yoga e concordo con l’articolo, anche se all’inizio può sembrare screditate, lo yoga é sopratutto una via per evolvere spiritualmente e usa in alcuni casi il corpo, se si sceglie la via della hata yoga e delle sue discipline derivanti bisogna affidarsi a a mano esperte e non ad insegnanti occasionali, altrimenti rischi di fare dei danni al tuo corpo. Lo yoga é una disciplina che richiede costanza abnegazione e piedi per terra, evitate chi si sente un maestro solo per il fatto di avere un diploma attaccato al muro, e cercate di scegliere persone che ne hanno fatto uno stile di vita.
Un consiglio per la redazione, sarebbe bello avere un articolo su come scegliere un buon corso in maniera più dettagliata.
Grazie
Sue dice
Chi siamo noi per decidere che cosa possa essere chiamato Yoga? Se ci si attiene a scritture classiche dello Yoga come gli Yoga Sutra, Hatha Yoga Pradipika o Gheranda Samita è facile comprendere che lo yoga può prendere sfaccettature ed interpretazioni diversi, quello che al mio avviso traspare in questo bellissimo articolo é che tutte le pratiche Yoga, Dharana, Prathyara, Asana vanno tutte considerate membri di un percorso di emancipazione. Troppo spesso i “maestri” di Yoga però si dimenticano i fondamenta “Yama e Niyama” e di portare pazienza uno nei confronti dell’altro. Peccato! Perché é proprio questo che rende lo Yoga un strumento utile e utilizzabile per tutti finché dietro ci stia un insegnamento trasmesso con serietà e che rispetti le condizioni psico-fisiche di colui che inizia il suo cammino.
Stefano dice
Buongiorno.
Secondo me Yoga é una ottima disciplina per accrecere la propria consapevolezza.
Lasciamo alla mente qualsiasi commento negativo.
Namasté
marco dice
Articolo molto intelligente e di buon senso, grazie per la condivisione.
A chi nei commenti si ritiene paladino del “vero yoga”, lo invito a rileggere i passi di Patanjali sull’abbandono dell’ego nonchè sul concetto di ahimsa.
marco
davis dice
Molto interessante ed educativo l’articolo, scritto sicuramente con l’intento di consapevolizzare e dare un punto di vista utile e alternativo. Rivolto chiaramente ai neofiti e coloro che ancora non hanno gli strumenti per poter approcciarsi a questa meravigliosa disicplina in un modo corretto e disincantato.
Altrettanto istruttivi i commenti di certi personaggi. La pratica dello yoga può portare talvolta a delle rigidità mentali e di principio. L’atteggiamento “elitario” di queste persone rivela e conferma quanto scritto dall’autore.. La pratica dello yoga può portare rigidità, e non solo fisiche. Certo non è colpa dello yoga! E’ il nostro ego che invece di dissolversi per permetterci di accogliere e trarre beneficio dall’esperienza e dalle opinioni altrui, si rafforza ancor di più in schemi quasi “religiosi”.
Ehhh… quanto saggi erano i grandi maestri antichi. Quelli che ti rivelavano le cose solo attraverso la tua esperienza diretta.
giulia dice
Io vedo semplicemente che lo Yoga qui molti l’hanno praticato, senza però metterlo in pratica.
Vedo molto ego in questi commenti.
Bell’articolo Francesco.