Ovvero perché non tutti devono per forza dedicarsi allo Yoga (o al Tai Chi, o al Qi Gong), perché nessun luogo di insegnamento può essere adatto a tutti e perché anche gli insegnanti devono imparare a dire qualche volta di no, per il bene stesso degli allievi.
Non è un paese per turisti
Approcciamo il discorso da un punto che riteniamo fondamentale: praticare Yoga, secondo noi, implica fare una scelta. Non per forza una scelta di vita o di fede (nello Yoga non è necessario credere in qualcosa), ma per lo meno di investire un po’ di tempo e andare oltre le impressioni superficiali.
Normalmente, noi non scegliamo: compriamo prima di scegliere, e spesso compriamo cose che nemmeno useremo, o che accumuleremo in un angolo della soffitta dopo averci giocato per qualche tempo, ma senza mai averne compreso la reale utilità. Così, dicono, si fa “girare l’economia”, ma non è così che funziona l’economia yogica, nella quale le cianfrusaglie esperienziali accumulate durante il turismo inconsapevole sono zavorre che alla lunga impediscono qualsiasi progresso: e questa è una dura realtà non solo per gli allievi, ma anche per gli insegnanti.
Anche per questo, come in ogni luogo, a Zénon ci sono delle regole. Una delle prime è che non facciamo lezioni singole a sconosciuti o abbonamenti “a ingressi”, cioè quelle formule tramite cui compri un tot di lezioni e le fai entro un orizzonte temporale illimitato.
Non ne facciamo perché senza un minimo di frequenza l’allievo rimarrebbe un principiante a vita e ciò sarebbe inutile e dannoso per lui, per i compagni di pratica e per il centro stesso, perché non si potrebbe nemmeno immaginare un percorso collettivo in cui le persone possono progredire col tempo.
Proprio per questo, riteniamo che in questi casi il dovere di un onesto insegnante sia invitare a riflettere su come si possa apprendere a suonare il piano partendo da zero con una lezione al mese e sapendo già di non avere la costanza (né gli strumenti) per esercitarsi nel frattempo da solo.
Naturalmente, in alcuni casi, arriva anche un momento in cui l’allievo dispone di strumenti e di sufficiente costanza per praticare anche da solo – ed è anzi è auspicabile che lo faccia. Ma questo discorso non può applicarsi a neofiti quali sono quasi tutti coloro che ci rivolgono richieste simili.
Lo scorso anno fece qualche rumore la dichiarazione di uno Yoga Studio canadese, che decise di smettere di insegnare le posizioni capovolte e di proibire ai propri allievi di eseguirle nel centro al di fuori delle lezioni. Le motivazioni erano a nostro parere abbastanza discutibili: ad esempio, che i benefici effettivi di tali posizioni non superassero gli effetti collaterali; ma non è questa l’occasione di discuterne.
Tuttavia, dall’articolo che annunciava la decisione emergeva un particolare per noi determinante: che quasi tutte le lezioni in quello Studio seguivano la formula ‘drop-in‘ (ovvero, “a ingressi”); la responsabile dello studio ammetteva che nella maggior parte delle lezioni si trovava in sala persone che non frequentano regolarmente oltre a una certa quantità di perfetti sconosciuti. A queste condizioni, nemmeno noi insegneremmo posizioni capovolte – a dire il vero, non insegneremmo proprio nessuna posizione – ed è proprio per questo che rinunciamo volentieri alla pur redditizia formula del drop-in.
A ognuno il suo posto
Il caso degli abbonamenti ‘a ingressi’ e gli aneddoti riportati contengono secondo noi un insegnamento chiaro, che vale la pena contestualizzare all’ambito della nostra attività: più si allarga indiscriminatamente il proprio pubblico per motivi commerciali e/o di spirito ecumenico, più è necessario un livellamento verso il basso della proposta, e spesso nel tentativo di accontentare tutti si rischia di non accontentare nessuno, oltre a rendere del tutto irrilevante il proprio lavoro.
Lo Yoga – ma vale per tutte le pratiche – non può essere adatto a tutti. A maggior ragione, un particolare tipo di Yoga insegnato da un particolare insegnante non può essere adatto a tutti. Può esserlo a molti, ma non a tutti.
In alcuni centri di Yoga, convivono diversi insegnanti con diverse formazioni, si fanno molte attività diverse tra loro e si insegnano tante discipline diverse, per allargare il proprio pubblico. Pur rispettando queste scelte, nel nostro centro preferiamo connotarci in modo piuttosto preciso per quanto riguarda l’insegnamento dello Yoga e delle altre pratiche, che devono riflettere la nostra sensibilità e la nostra esperienza personale; inoltre, non ci interessa fare di tutto semplicemente per fare audience, soprattutto se non ci convince (ad esempio, negli ultimi mesi abbiamo rifiutato una dozzina di proposte da parte di suonatori di campane tibetane).
Chi voglia farsi un’idea di come lavoriamo, è benvenuto a provare di persona. Un’altra regola di questo luogo è: devi sentirti in sintonia con quello che si fa, con chi lo fa e come lo si fa; se qualcosa stride, nessun problema: non è il luogo adatto a te.
Spesso però sembra esserci un argomento che psicologicamente sovrasta qualsiasi altro dato, ovvero l’argomento del cliente che paga e quindi ha sempre ragione, anche quando si trova in un ristorante giapponese ma vorrebbe una pizza. E questo è un grave errore in cui possono incappare sia l’insegnante, sia l’allievo. Per l’allievo, occorre comprendere che non può pretendere di piegare il luogo ad adattarsi a sé. Per l’insegnante, occorre svestirsi dei panni messianici e deporre la falsa coscienza di aver negato l’accesso alla salvezza a una povero peccatore.
Per questo, ci riteniamo sollevati dall’obbligo di accogliere chiunque semplicemente perché è un allievo o un allieva in più che pagano una quota: riteniamo che non sarebbe rispettoso in primo luogo verso il potenziale allievo stesso, che considereremmo solo in quanto denaro sonante e non come essere umano che ha il diritto ad avere le proprie necessità e i propri tempi, magari distogliendolo da altre strade che potrebbe percorrere con molto maggiore profitto.
E, naturalmente, per il bene comune e onde ridurre al minimo gli episodi spiacevoli, non accogliamo o invitiamo ad andarsene coloro che si comportano in modo non compatibile con il luogo e con le attività insegnate.
Non ci riteniamo inoltre in obbligo di accogliere chiunque non prenda sul serio l’attività – consapevolmente o inconsapevolmente – a causa della malsana idea che lo Yoga sia “a prova di imbecille” e che quindi non sia degno nemmeno della minima attenzione necessaria in qualunque attività psicomotoria. Come abbiamo già ampiamente spiegato, se c’è una cosa sicura nello Yoga, è che non è sicuro; e tantomeno non esiste alcuna procedura sicura – ci dispiace molto per chi sostiene il contrario – a prescindere dalla consapevolezza e dalla presenza mentale del praticante, che deve essere responsabile di sé stesso.
Ora, non tutti hanno gli strumenti per valutare se quello che stanno facendo è adatto a sé: in questo caso, per il bene comune, ci riteniamo in dovere di aiutare a vedere le cose in modo più chiaro, anche invitando a prendersi pause di riflessione o a cercare altrove.
Non ci è in alcun modo possibile ricostruire un identikit dell’allievo ideale: i dati anagrafici, gli interessi, persino le caratteristiche psicofisiche sono per noi del tutto irrilevanti alla prova dei fatti. Chiunque, a qualunque età e in qualunque condizione, può trovarsi a proprio agio da noi, così come chiunque, per qualsiasi motivo che non deve nemmeno giustificare, può ritenere altrimenti. E lo stesso vale per le nostre decisioni.
Ma qui non ci sono clienti
Il cliente non ha sempre ragione, soprattutto quando non ha ben chiaro cosa vuole e quando non lo chiede con il dovuto rispetto. Ma, a voler essere ancora più precisi, noi siamo convinti che nello Yoga non ci siano clienti.
Non solo perché nello Yoga nessun risultato può essere meccanicamente garantito e quindi venduto, ma anche perché il rapporto insegnante-allievo richiede un’assoluta schiettezza che non può essere subordinata ai compromessi inevitabili in cui si incorre nel rapporto fornitore-cliente.
Sappiamo di correre il rischio di essere considerati un po’ idealisti – o ipocriti, dai diffidenti – e sappiamo che il mondo ‘olistico’ è ormai un mercato in cui accaparrarsi più anime possibile con ogni mezzo, soprattutto con il massiccio uso di tecniche di manipolazione che poco si conciliano con l’intento dichiarato di rendere l’essere umano più libero e autonomo.
Eppure, fino al secolo scorso, chi volesse dedicarsi a queste discipline doveva sottoporsi a viaggi lunghi, incerti e pericolosi per trovare qualcuno che potesse insegnargli qualcosa. Qualcuno che poteva anche rifiutarsi di farlo, se non lo riteneva adatto e pronto; non necessariamente “all’altezza”, perché magari a quella particolare persona era destinata un altro tipo di insegnamento.
Non rimpiangiamo quei tempi, ma ci piace ancor meno l’estremo caso opposto, in cui per qualsiasi pratica (o, ancor peggio, non per lo strumento ma per il risultato finale) chiunque viene ritenuto pronto o adatto, purché versi una quota di partecipazione.
Noi rimaniamo convinti che, se scegliessimo di operare in un contesto simile, la transazione economica rimarrebbe l’unica forma di trasmissione che potremmo garantire.
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