Ieri è venuto a farci visita Ottavio. Ottavio è lo zio di Giovanni, un nostro allievo, ma soprattutto un amico, che è venuto a mancare questa estate dopo una malattia che è durata cinque anni, quasi la totalità del tempo che ha trascorso con noi.
Giovanni era una persona difficile da non notare, per quanto fosse schivo e introverso. Forse, si notava anzi per la sua compostezza, così rara, la sua capacità di stare dove si è. Qui da noi è anche impossibile non imbattersi in qualche segno del suo passaggio, uno dei tanti regali che ha lasciato in questo luogo: un busto del Buddha (a cui Ottavio ha aggiunto un’altra splendida statua), una pietra, un portaincensi, un origami.
Ma il fatto era anche questo, al di là della perdita di un giovane uomo di soli 29 anni, malato di tumore dall’età di 25: ben prima della malattia, Giovanni aveva uno slancio verso lo spirito, una determinazione, ma soprattutto una purezza che è davvero difficile trovare, soprattutto oggi.
Mi viene da pensare, ma ammetto la crudele arbitrarietà di questa sensazione, che ci dev’essere qualche rapporto tra animi come il suo e la rapida intensità delle loro esistenze. Quello slancio Giovanni non l’ha perso durante questi anni, anzi: era un ragazzo che non riusciva a trovare un posto in questo mondo, mi racconta Ottavio, con la malattia l’ha paradossalmente incontrato.
Io e Ottavio ci guardiamo da un lato all’altro del tavolo, o meglio i nostri sguardi solo occasionalmente si incontrano, ma è perché sappiamo, e Giovanni sapeva, che certe aspirazioni hanno a volte un prezzo altissimo, più alto è il dono, che è tale proprio in quanto non toglie nemmeno un grammo al dolore e allo strazio umano, lo lascia – o lo prende – per quel che è, non cerca di ricucirlo.
Non ho mai sentito Giovanni lamentarsi del suo destino. Per quello che stava accadendo al mondo, per la direzione ostinata e contraria rispetto a ciò che avvertiva come autentico, quello sì. Questo non significa che andasse incontro alla sua sorte con rassegnazione e fatalismo: Giovanni ha fatto fino all’ultimo ciò che poteva – e che con ferma convinzione nel suo cuore sentiva – per prendersi cura di sé, ma soprattutto per trascorrere il tempo che gli rimaneva in modo degno e cosciente: lo ha fatto anche, lo scorso dicembre, laureandosi in filosofia con il massimo dei voti – e mai espressione formale è stata più appropriata anche nell’essenza – proprio appena dopo aver saputo che il meccanismo della fine, così incombente ma sospeso in questi anni, aveva accelerato la sua corsa verso il compimento.
Ogni tanto mi viene da dire qualcosa, e mi accorgo di rivolgermi interiormente a lui, gli chiederei ancora un parere, come nelle lunghe conversazioni prima o dopo lezione, quando si presentava qui con la voglia di parlare. Ma è nelle ore di silenzio che penso di avere imparato di più grazie a Giovanni. Abbiamo passato, io e lui, spesso da soli, attimi sospesi tra una parola e l’altra che si sono spalancati a dismisura, hanno lasciato il segno non solo in entrambi, ma anche in questo luogo: credo che sia anche grazie a lui, e al suo esserci, se ho visto persone totalmente digiune di meditazione trovarsi assorbite in questo comune silenzio senza colpo ferire, e in questo silenzio risuonare come è nella natura di ognuno.
Ricordo il giorno in cui Giovanni mi scrisse che mi doveva parlare. Veniva a dirmi che partiva per Torino, dove andava a curarsi, dove avrebbe trovato delle persone ad accompagnarlo in quello che sapeva l’ultimo tratto di questo suo viaggio. È stata l’unica volta in cui l’ho visto cedere al pianto, lui così trattenuto. “Non pensavo così presto”, ripeteva come tra sé. L’ho abbracciato, e ho sentito tra le mie braccia il petto di un ragazzo che poteva essere mio figlio, che andava a morire.
Rileggo uno degli ultimi messaggi che ci siamo scambiati, mentre l’applicazione mi segnala l’ultimo suo accesso alle 17.06 del 20 agosto: “E sto aspettando, da sempre, che mi venga fatta Grazia, che mi sia dato guardare un po’ oltre la piccola mente e trarne sollievo”. Ma io so e lui sa, che da quella Grazia era assediato, anche quando per eccesso di slancio, mai per mancanza, mancava di accorgersene.
Ed ora, se capita a me e a chiunque l’abbia conosciuto un po’, di vedere per strada un ragazzo magro in bicicletta e di avere l’impressione che sia Giovanni che passa con la levità di un altro mondo, è anche così che finalmente il suo posto Giovanni l’ha trovato. “La terra appartiene/ a chi l’ha abbandonata”.
PS: i due versi che danno titolo a questo ricordo sono di Milo De Angelis
Vincenza dice
Bravo Francesco!!!! Hai reso omaggio a Giovanni nel migliore dei modi. Grazie. Giovanni starà finalmente riposando in pace. Ciao Gio’😘
Maura dice
Grazie Francesco! Grazie Giovanni! ONS