È passato un mese esatto da quando il nostro centro, come tante altre attività, ha chiuso fisicamente i battenti per i motivi che ben sappiamo. È stato solo un piccolissimo e quasi privato smottamento tra gli eventi che in pochi giorni hanno aperto un abisso tra il prima e dopo per tutti, e non sono qui per dolermene in pubblico.
Vorrei però raccontare quello che è maturato in questo mese dalle nostre parti, nella speranza di offrire qualche spunto sul tema della pratica dello yoga mentre le scuole di yoga sono in quarantena.
Quando Zénon ha chiuso, ci siamo presi qualche giorno per capire cosa fare, oppure cosa non fare. Oltre alle diverse circostanze personali che ognuno di noi stava (e tutt’ora sta) vivendo, c’erano alcuni dubbi che attendevano di essere sciolti.
I principali nodi riguardavano se fare un passo a lato: in un momento come questo, ha senso continuare? Esistono motivi validi per proseguire a insegnare yoga attraverso l’unica via praticabile, cioè internet? Intendiamoci: esistono motivi al di là della sopravvivenza di una realtà – Zénon – in cui crediamo fermamente?
Ma anche, e non meno importante: è fattibile, a modo nostro? Non si perde, con questo, lo spirito essenziale della pratica?
Nel frattempo, abbiamo visto scorrere i fiumi di tante iniziative, dirette in streaming pubbliche o ‘ristrette’, lezioni su Youtube, classi via Skype, via Zoom e non solo di yoga, spesso animate dalle migliori intenzioni; e abbiamo letto anche qualche critica, a volte argomentata, a volte meno. I partiti del ‘piuttosto’ e quelli del ‘niente’ hanno, a nostra opinione, uguali dignità, ognuno ha le sue ragioni.
Noi abbiamo deciso per il ‘piuttosto’. Beninteso: lo abbiamo fatto in modo molto privato inizialmente, e con una certa circospezione. Ma dal confronto con i nostri soci, ovvero con chi fino a pochi giorni prima praticava con noi nelle nostre sale, abbiamo ricevuto l’impressione che per i più non si trattasse semplicemente di dare continuità a un’abitudine, di “ovviare a un disagio”.
Rispetto al pre-quarantena, è emersa un’urgenza che scavalcava le questioni formali: si tratta di trovare delle fenditure, di trovare degli spiragli attraverso cui respirare. La differenza rispetto a prima è che questi spiragli non sono più un bene di lusso, ma di prima necessità.
Ebbene, nel corso di queste settimane, anzi e con la nostra stessa sorpresa, l’espressione ‘piuttosto che niente’ è risultata del tutto inadeguata, perché ingenerosa. Più che la necessità di preservare i rapporti, è apparso come alcuni legami, messi fisicamente alla prova dalla separazione, ne escano rafforzati. Devono diventare più autentici, oppure soccombere, come l’erba che sbuca attraverso la colata di asfalto.
È vero che lo yoga attraverso uno schermo, quando la connessione e l’ambiente casalingo lo permette, può non essere esattamente la stessa cosa. Ma questo dato, così come può indurre a maggiore superficialità, ci può anche spronare di andare direttamente al sodo.
Certo, anche noi eravamo prevenuti: pensavamo che i mezzi digitali funzionassero molto bene per mostrare come eseguire una procedura, meno bene per far passare ciò che sta oltre le parole. Il nostro giudizio non è cambiato del tutto (per questo ci siamo concentrati su lezioni in diretta, con interazione, invece che su lezioni registrate).
Eppure ci siamo sorpresi scoprendo che l’essenziale, ciò che importa veramente, passa comunque. Non per qualche dote straordinaria del mezzo (la nostra epoca idolatra i mezzi), ma per la ben più straordinaria affinità tra coloro che stanno ai due capi dello strumento, affinità che non può veramente essere isolata o soppressa da alcuna barriera. A volte bastano pochi cenni, e ciò che manca nella comunicazione si colma improvvisamente.
E qui si obietterà: se davvero è insopprimibile, se anche nella privazione più totale non siamo mai soli, perché attaccarsi a una connessione a internet? Obiezione legittima, ma spesso, nello yoga, si rischia di fare della cattiva filosofia, presupponendo un mondo ideale popolato da esseri tutti d’un pezzo.
L’isolamento che stiamo vivendo non è la scelta consapevole dell’asceta che si allontana volontariamente dal mondo, scelta peraltro che può competere solo a poche tipologie di persone. Il “mondo” non è mai stato così vicino, non ha mai fatto sentire la sua voce nel chiedere il conto, nello sbaragliare le illusioni di poter tenere sotto controllo, di prevedere, di programmare.
Per molti, questo ammutolire che è calato nelle strade non è silenzio, ma una palude di paure in cui si rischia di scivolare giorno per giorno. Mai come in questo momento – è ciò che abbiamo riscontrato – la capacità di “svuotarsi” è indispensabile per non essere travolti dalla situazione e affrontarla con lucidità.
E questa capacità, al momento, per molti è più abbordabile insieme – cioè con un segno, un sostegno percepibile – che da soli. Per insegnanti e allievi, ciò può significare veramente un salto qualitativo.
Lo yoga serve proprio a questo: a trovare l’essenziale non può essere portato via. E ci perdoneranno i professori se per imparare a fondo questa lezione, useremo all’occorrenza anche una connessione a internet. Almeno per ora.
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