
…imponderabile in un mondo di pesi…
Marina Cvetaeva
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…dismisura in un mondo di misure…
Avevamo parlato già qualche tempo fa, degli eccessi che provocano infortuni nello yoga, perché tutto ciò che può fare molto bene, può fare anche molto male. Soprattutto quando uno pensa, con molta leggerezza, che sia possibile piegare alle proprie pretese energie che sono tanto creative quanto potenzialmente distruttive, e molto più capillari di quanto si possa immaginare.
Proprio in questi giorni il sito della BBC ha pubblicato un articolo dal titolo Gli insegnanti di yoga ‘rischiano seri problemi alle anche’, che a dispetto del titolo sensazionalistico è piuttosto equilibrato nel fornire un quadro di una situazione-limite, anche se a livello aneddotico: Benoy Matthews, un fisioterapista specializzato, sostiene di avere ormai moltissimi insegnanti di yoga tra i suoi pazienti, parte dei quali necessitano semplici interventi fisioterapici, mentre altri sono costretti a ricorrere alla chirurgia per la sostituzione totale dell’anca.
Matthews individua la causa non nello yoga in sé, ma nell’attitudine diffusa a forzare ripetutamente il corpo in posizioni “prescritte”. In altre parole, quando l’āsana è uno standard assoluto a cui conformarsi (ne abbiamo già parlato qui) è molto facile entrare in conflitto con particolarità anatomiche del proprio corpo che non sono compatibili con quegli standard (e l’articolazione dell’anca è particolarmente soggetta a importanti differenze da corpo a corpo).
Il problema è quindi in primo luogo di attitudine, incoraggiata (è un parere mio) da un certo approccio massimalista allo yoga, per cui lo yoga farebbe bene a prescindere e che la pratica sia in grado di riparare ai suoi stessi danni (secondo una visione distorta della massima “practice and all is coming”), senza contemplare la necessità di aggiustare il tiro.
Per cui, il buon Matthews afferma che è molto facile per il praticante confondere il dolore articolare, che indica la necessità di arrestarsi, con la rigidità, contro cui si è stati educati a combattere.

L’articolo è molto interessante, perché aiuta a comprendere come la pratica degli āsana non sia un gioco innocuo e di come il praticante di yoga possa soffrire del male paradossale comune a molti sportivi: perdere la salute per eccesso di zelo facendo qualcosa che in realtà servirebbe a preservarla.
Ma se vogliamo andare oltre il più ovvio invito alla moderazione (esiste anche la pecca di eccessiva arrendevolezza, e per questo è difficile dare delle indicazioni assolute), possiamo cogliere l’occasione per indagare qualche aspetto più profondo, ovvero: la “via mediana” non intesa come mediocrità tra gli estremi, ma come la possibilità fattiva di penetrare negli interstizi delle cose.
La maggior parte delle persone (forse tutti, almeno nella cultura industrializzata occidentale, se non educati altrimenti) si percepisce e si regola solo tramite gli estremi. È facile abbuffarsi e non è nemmeno troppo difficile digiunare: basta mangiare fino a non poterne più, oppure non mangiare affatto. Proprio per questo, tutti noi sappiamo quanto richieda attenzione (un’attenzione che non tutti sono disposti a investire) mangiare invece il giusto, solo quando si ha veramente fame e smettere prima di essere satolli: bisogna sentirsi, non basta aspettare di collidere con il limite: è lo stesso motivo per cui – è l’emergenza del nostro tempo – anche le idee si appiattiscono spesso su posizioni estremistiche, perché è molto più difficile articolare un’opinione ponderata.
Così, tornando al nostro corpo, nel movimento percepiamo poco più del punto di partenza e di quello di arrivo, un po’ come quando si parcheggia urtando la macchina avanti e quella dietro. Tutte le gradazioni intermedie, tutte le zone grigie che non possono essere catalogate sotto uno o l’altro estremo sono delle frequenze al di fuori della nostra capacità percettiva. A meno che, ovviamente, non inciampiamo nel mezzo in qualcosa, in special modo di doloroso (con tutta la problematica che riguarda la definizione del dolore e il suo margine soggettivo di sopportazione).

Eppure, con buona pace dei massimalisti, le tecniche dello yoga si muovono proprio in quella zona di mezzo tra gli estremi, che solitamente è attraversata di fretta e sovrappensiero come un corridoio buio popolato di esseri ripugnanti. Ecco, lo yoga deve mostrare che il mostro è una leggenda.
Ciò richiede di non eccedere nella forza, con una certa nonchalance, ma nemmeno di rinunciare del tutto alla fisicità. Come il tocco del percussionista, se è troppo lieve non produce suono, se è troppo ‘materiale’ è un colpo sordo.
Molto di quello che si vede oggi sotto il nome yoga, purtroppo, è un colpo sordo. È un colpo sordo insegnare il modo più veloce per raggiungere lo stadio finale di una posizione, non il modo più in accordo con la propria fisiologia e con la possibilità di un ascolto approfondito, ma soprattutto è un colpo sordo non cogliere e non educare a discernere la differenza. Per cui, anche il praticante di yoga, finché non incappa nel fine corsa delle proprie possibilità – correndo il rischio di sviluppare, col tempo, dolore – non sarà portato a sentirsi e non avrà raffinato in alcun modo la propria capacità percettiva.
Occorre avere ben chiaro cosa è possibile fare, e cosa non lo è. Ma anche: perché dovrei farlo? Perché dovrei ‘aprire’ ulteriormente le mie anche? Non sto sostituendo forse il mezzo con il fine? La domanda è universale, ma è ancora più urgente per lo yoga, che è solo secondariamente un contenitore di mezzi, e ancora prima battuta un fine che non è un(a) fine.
Porre degli obiettivi, come eseguire una posizione o padroneggiare una tecnica, è certo un espediente: serve come scintilla di accensione, altrimenti non ci sarebbe spinta iniziale. Ma nello yoga tutti particolari che si presenteranno nel percorso, le necessarie deviazioni e gli adattamenti, persino la manifesta impossibilità di esecuzione possono essere in realtà la destinazione, perché yoga è esperire direttamente che la destinazione è in ogni punto.
A un certo punto, la posizione finale potrebbe essere persino dimenticata. Ciò che è limitante è che il limite sia considerato come una restrizione di cui necessariamente fare ammenda. Il limite si oltrepassa da sé quando le mie anche strette, la mia posizione imperfetta non impediscono il risvegliarsi dell’energia, che avviene per ragioni poco ponderabili, non in un momento prescritto né quando né perché sono stati fatti tutti i compiti. Allora la necessità di aprire le anche per sentirmi libero è come la necessità di acquistare un televisore da quaranta pollici per sentirmi felice.
Forse, se ci facciamo caso, nello yoga come nella vita, potremmo rintracciare infinite occasioni in cui un raccoglimento particolare mentre si cercava altro, un silenzio, una raffinata sensibilità sono stati calpestati sul nascere dall’improvviso pensiero che vi fosse una posizione, una sequenza ancora da portare a termine, una parola ancora da dire, una nota da cantare.
Sarebbe bello, se nelle lezioni di yoga si cadesse in questi silenzi come si cade addormentati.
d’accordo su tutta la linea
Gentili amici di yoga Zenon, ho letto tantissimi vostri articoli di blog e mi trovano abbastanza d accordo.
Ho 57 anni, e ormai più di 15 anni fa iniziai a sciogliere il mio corpo, praticando shaolin kung fu e annesso qi gong del palo celeste.
Qualche anno fa volevo tornare in una scuola a praticare questa bellissima disciplina, ma mi venne fuori un’iperpressione rolulea congenita sul ginocchio destro. Per cui dovetti nonostante vari tentativi rinunciare a frequentare una scuola shaolin. Continuai’ però insieme ad un amico a praticare forme e applicazioni shaolin, graduandone l intensità per evitare di infiammare la zona rotulea.
Qualche anno dopo, mi avvicinai al mondo dello yoga, praticando Vinyasa.
E mi ci trovai bene. Il mio fisioterapista osteopata, mi disse di evitare alcuni movimenti yogici sul ginocchio destro,(pochissimi in realtà),allo scopo di evitare infiammazioni e questo mi aiutò davvero.
Negli ultimi due anni accanto allo yoga vinyasa estivo, praticai d inverno il famoso iyengar yoga. Questo yoga mi ha stimolato a fare più movimenti complessi, quali verticali ,candela ecc.
Ma….c’è sempre un ma….
L’insegnante per quanto brava e ‘a tratti un po severa e un po maestrina…vorrebbe farmi fare quei movimenti yogici,(tipo albero su ginocchio destro), che il mio fisioterapista mi ha detto di evitare. Addirittura questa insegnante mi ha indicato di cercare di risolvere il problema rivolgendomi ad altre medicine alternative tipo riflessologia plantare. Tentativo che io feci peraltro e la Riflessologa facendomi stare certamente meglio mi ha detto che difficilmente si poteva ripristinare totalmente il ginocchio destro.
Io per il vero non ho grandi limitazioni, tranne qualche movimento sul ginocchio destro che tendo ad evitare (ma lo so fare benissimo come la posizione del loto).
Dopo questo, l insegnante di yoga iyengar dopo 2 anni di pratica cerca ancora di insistere, affinché io faccia quei movimenti perché sostiene che non facendoli da lato destro, si possono verificare squilibri sugli organi interni….Mah….
La riflessologa piantare ha detto che non ho particolari squilibri sugli organi interni. L insegnante di iyengar non ci crede…
Cosa ne pensate voi di questa cosa?
Mi sembrerebbe il caso di cambiare insegnante di yoga iyengar…..
Certo è vero che su alcuni movimenti forse c’è una minore,(ma non di tanto), flessibilità).
Grazie di avermi ascoltato
-Gianfranco –
Caro Gianfranco, ti ringraziamo per il commento. Ovviamente non conosciamo la situazione particolare, ma l’esperienza ci ha insegnato a confidare più nei pareri sfumati e ponderati che su quelli per cui tutto sarebbe o bianco o nero. Quindi direi che forse tra le tre figure che ci hai citato sarebbe meglio fidarsi del fisioterapista e della riflessologa. Quanto agli squilibri interni… è vero che tutto è correlato e che gli squilibri esterni possono riflettersi anche visceralmente, ma è anche vero che il nostro organismo cerca sempre (e spesso trova) di ritrovare un equilibrio anche a fronte di situazioni che provocano asimmetrie. Se non l’hai ancora letto, ti consigliamo questo articolo: https://www.zenon.it/la-diagnosi-e-il-senso-dell-vita/