Il tuo cambiamento interiore viene negato socialmente. Più che una persona in trasformazione, sei vista come portatrice di un bambino. La maternità è vista come un’interruzione fastidiosa del ritmo di lavoro e come una parentesi inevitabile di passaggio, da chiudere prima possibile.
Verena Schmid, Venire al mondo e dare alla luce
L’opportunità o meno di lavorare fino al nono mese di gravidanza è un tema che ricorre spesso. Senza voler entrare in un dibattito politico/economico che non mi compete, trovo interessante che si parli dei ritmi della gravidanza in questa epoca smart, in cui a volte la sensazione è che non ci sia tempo per attendere 9 mesi un figlio e men che meno rallentare i ritmi.
O almeno questo è ciò che i media e i social in particolare spesso trasmettono.
Che si tratti di lavoro, di uscite con amici, sport o altro poco importa: la tendenza generale è mostrare donne capaci di ‘essere sul pezzo’ fino a pochi istanti prima della sala parto.
Sia chiaro: essere incinta non vuol dire certo fermarsi e abbandonare completamente lavoro, famiglia, interessi… Ma un figlio non stravolge forse la vita, dal momento stesso del concepimento? E questi 9 mesi non dovrebbero essere il tempo giusto necessario per prepararsi a questo cambiamento?
Accade anche nello yoga: i social sono ricchi di foto di donne in avanzato stato di gravidanza in posizioni intense da un punto di vista fisico (soprattutto inversioni, arcuazioni e torsioni), senza alcun adattamento per la loro condizione. In queste foto spesso la pancia appare un elemento utile a sottolineare la scioltezza fisica delle madri e l’alto livello della loro performance. Mi spiace in questi casi costatare come la pratica venga svilita e utilizzata come un ennesimo modo per mostrare come la donna possa mantenersi bella, efficiente, prestante… ‘nonostante’ la maternità.
Mi appare chiaro il perché di questa tendenza, perché anche io stessa ho vissuto queste dinamiche: il cambiamento fa paura. Mantenere le stesse abitudini e gesti del “prima” è un modo per ancorarsi a false certezze nel bel mezzo del travolgente cambiamento. Mantenere una corazza (credendola un salvagente) nel momento in cui l’unica via di salvezza sarebbe al contrario gettarsi nude in mezzo all’oceano.
Nello yoga, per stare in tema, ricordo in me una certa soddisfazione quando mi rendevo conto di riuscire a fare ancora certe posizioni senza cuscini o adattamenti. La gravidanza e il periodo successivo al parto sono stati un’occasione per cambiare rotta: l’esperienza ha totalmente cambiato il mio modo di intendere e approcciare la pratica e seguire ora a lezione le donne in questa fase della loro vita è costantemente uno stimolo di riflessione e di approfondimento.
Quello ‘stato di grazia’ che viene offerto a noi donne è per me la possibilità di rallentare, di allentare i vincoli e la frenesia della vita ordinaria non solo per abituarci ai ritmi del nascituro, ma per poter anche tendere l’orecchio verso quello spazio sospeso, ignoto, che apre le porte ad universi più ampi.
Si possono cogliere molte affinità tra travaglio, parto ed una lezione di yoga: non solo per la ricerca delle posizioni, l’attenzione al respiro, il lasciar andare… ma soprattutto per la ricerca di quello stato meditativo in cui la mente si spegne ed emerge la connessione più profonda con la parte più istintiva di noi stesse.
Il percorso di una donna incinta non è così distante da quello di un praticante yoga: passando attraverso l’accettazione dei propri limiti e resistenze, tentano entrambi di spegnere il ronzio costante della mente, delle emozioni e delle influenze esterne per mettersi in connessione con qualcosa che al tempo stesso li attrae li spaventa: che sia lo “sconosciuto in grembo” o, nel senso più ampio del termine, l’Ignoto, il Divino o il Vuoto, poco cambia.
Questo credo dovrebbe rendere lo yoga diverso da una qualsiasi ginnastica, e offrire a chi già pratica da prima del concepimento una doppia opportunità: non solo ampliare la naturale tendenza all’interiorizzazione delle donne in dolce attesa, ma anche facilitare il loro percorso volto a ridurre o annullare la distanza tra sala pratica e vita.
l’occasione di metamorfosi per la donna è unica e irripetibile.
E, che lo si accetti o meno, nulla potrà davvero più essere come prima.
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