La prima edizione del Codex Seraphinianus vede la luce nel 1981 grazie a Luigi Serafini, eclettico architetto romano con una spiccata vena artistica. Da iniziale libro semisconociuto e semi-clandestino (pare che le prime copie andarono a ruba e poi per molto tempo fu difficile reperirlo), questa opera ha visto diverse edizioni e, da appannaggio di pochi, con l’avvento dell’era digitale e di internet, si è trasformata in un must have per tutti i cultori del surreale, peraltro ristampato in una edizione di lusso lo scorso anno da Rizzoli.
Ma in definitiva cos’è il Codex Seraphinianus?
È un’enciclopedia di un mondo apparentemente alieno che contiene però molti elementi riconducibili al nostro mondo, ibridando i regni umano, vegetale, animale, minerale e tecnologico. La modalità con cui l’autore ce lo presenta è quella appunto di un’enciclopedia come potrebbe essere quella di Diderot, dove si susseguono spiegazioni e schematizzazioni di tutti gli aspetti di questo mondo “parallelo”: architettura, flora, fauna, abbigliamento, scienza eccetera.
Ciò che rende però unico questo libro è come l’autore affronti questi temi: con delle suggestive tavole disegnate a mano (sono diverse centinaia) accompagnate da una scrittura che non è riconducibile ad alcun linguaggio conosciuto e quindi ritenuta “inventata”, di cui offriamo qui una galleria (basta cliccare sulle immagini per ingrandirle):
Una prima riflessione personale è dettata da alcune riminiscenze filosofiche liceali riguardanti le idee nel pensiero platonico e neoplatonico, intesa come fondamento gnoseologico e ontologico della realtà. Se quindi le idee sono degli assoluti esistenti a prescindere dal processo mentale del singolo, possiamo veramente concepire un qualcosa che non esiste?
A parte questa considerazione, la chiave del fascino che questo libro ha esercitato e continua ad esercitare sul pubblico sta più che altro nel suo perché: qual è il suo significato? Cosa ha spinto l’autore a impegnarsi in un lavoro così imponente? Quale sarà il messaggio celato dietro tutto ciò? Una burla di un buontempone eccentrico o un’opera esoterica che dietro alle tavole e al linguaggio apparentemente senza senso, celi degli inimmaginabili segreti?
Alcuni hanno voluto cercare dei paralleli con il Manoscritto di Voynich, un’analoga sorta di misteriosa enciclopedia che Rodolfo II di Asburgo, noto per il suo interesse verso l’alchimia, acquistò a caro prezzo da John Dee nel ‘600. Tuttavia l’enigma del Codex è ancora più sconvolgente in quanto non si tratta di un misterioso testo cifrato di un oscuro alchimista del passato, bensì di un personaggio tutt’ora vivente, interrogabile, disposto al dialogo, ma che tuttavia sembra ritrarsi dal fornire una chiave.
Si sa che l’essere umano è di per sé curioso e spesso la mente lo costringe a razionalizzare, riconducendo a schemi a lei propri e familiari qualunque fenomeno le capiti davanti. Per questo motivo cercando nel web, si possono trovare i commenti più disparati nel tentativo di decifrare e/o trovare una spiegazione razionale a questa opera. C’è addirittura chi, per la gioia dei nerd, ha messo online un decodificatore che traduce da inglese, italiano, spagnolo e francese nell’alfabeto serafiniano, nonostante lo stesso Serafini abbia più volte affermato che tale scrittura è per lui “solo un gioco”.
In realtà, molto probabilmente, accettare l’assenza di un significato al di fuori dell’opera stessa è lo scoglio più grande per entrare in sintonia con il Codex.
Infatti, sfogliando, il susseguirsi di immagini surreali, spesso grottesche, accompagnate da una scrittura morbida e sinuosa ma incomprensibile, il lettore è sottoposto ad un continuo susseguirsi di emozioni molto discrepanti, il tutto esacerbato dal tentativo incessante della mente di cercare di ricondurre la somma di queste percezioni a degli schemi preconfezionati riguardo la propria concezione di realtà. Frustrazione che è esasperata ulteriormente dalla coerenza e dalla coesione di un testo che tuttavia rifiuta di fornire significati.
Un approccio opposto è quello delineato da Douglas Hofstader che al Codex dedicò uno dei suoi Metamagical Themas:
Molte persone a cui ho mostrato questo libro lo trovano spaventoso o in qualche modo sgradevole. Sembra che glorifichi l’entropia, il caos e l’incomprensibilità. C’è molto poco a cui aggrapparsi; tutto slitta, luccica, scivola. Eppure il libro ha una sorta di bellezza e di logica propria, qualità apprezzate da una calsse di persone diversa: persone che si trovano molto più a proprio agio con la fantasia a ruota libera e, in un certo senso, con la follia. Trovo alcune somiglianze tra la composizione musicale e questo tipo di invenzione. Entrambe sono astratte, entrambe creano uno stato d’animo, entrambe si basano principalmente sullo stile per trasmettere contenuti. La musica è, in un certo modo, una sorta di nonsense che nessuno comprende realmente. Incanta quasi ogni essere umano che può ascoltare ed eppure, di tutto ciò, sorprendentemente sappiamo ancora poco su come la musica azioni le sue meraviglie. Ma se la musica è una sorta di nonsense uditivo, ciò non impedisce il sorgere di forme ancora più estreme di super-nonsense auditivi. I lavori di Karl-Heinz Stockhausen, Peter Maxwell Davies, Luciano Berio e John Cage forniranno una splendida introduzione a quel genere, nel caso qualche lettore non sappia di cosa sto parlando. 1Douglas Hofstadter, Metamagical Themas, Basic Books
Bene, abbiamo toccato i due estremi dell’esperienza con il Codex che delineano anche gli estremi di ogni esperienza con la realtà: il tentativo frustrante di decodifica, di trovare l’altra metà del guscio, e il perdersi nella fantasticheria e nel nonsense, ossia nel perdersi e nel compiacersi della metà che ci è data. Tuttavia vorremmo suggerire una terza via, leggermente più ardua, che consiste nel mantenersi in equilibrio sulla china tra i due cigli, che è poi la via – a nostro parere – della produzione e della fruizione artistica nel senso più autentico.
Il Codex non si “fa” leggere nel modo comune con cui possiamo intendere questo termine, ma richiede una modalità decisamente più originale e che mi ha ricordato ad esempio, la “lettura” delle mappe alchemiche Taoiste: non è tanto il “perché” che è importante in questo caso ma il ”come” e il processo a cui la “lettura” del libro porta. Il tutto ovviamente senza un fine, proprio come il Taosimo che individua nel “non agire” e nel “non profitto” la centralità del proprio messaggio.
Ed è proprio in questo punto di equilibrio, nel silenziare il processo di decodifica razionale e al tempo stesso nel mantenersi “sul pezzo” evitando le derive fantastiche che si apre la possibilità di ciò che in una parola sola possiamo definire: intuizione. Che è infine il quarto dei significati attribuiti ai testi medievali; ovvero, oltre a quello letterale, morale, allegorico c’è il significato segreto. Che è al tempo stesso oggettivo ma deve essere esperito soggettivamente, non può essere spiegato da persona a persona senza passare dall’esperienza diretta. E alla fine, è lo stesso autore che suggerisce che l’unico a detenere il significato del Codex è soltanto il lector in fabula che il Codex costringe a venire allo scoperto:
In fondo il Codex è come le macchie di Rorschach: ciascuno ci vede quel che vuole. E’ una sorta di visione oracolare, hai la sensazione che il libro ti parli ma in verità sei tu che lo fai parlare vedendoci dentro delle cose. 2Codex Seraphinianus, tutti i segreti del libro più strano del mondo, intervista di Daily Wired a Luigi Serafini
Note
↑1 | Douglas Hofstadter, Metamagical Themas, Basic Books |
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↑2 | Codex Seraphinianus, tutti i segreti del libro più strano del mondo, intervista di Daily Wired a Luigi Serafini |
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