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Erika Pizzo

Info Erika Pizzo

Erika Pizzo insegna a Zénon yoga in gravidanza e post parto ed è istruttrice di allenamento funzionale.

Yoga post parto mamma e bambino: 5 incontri

7 Febbraio 2022 by Erika Pizzo

Nuovo ciclo di 5 incontri fascia 0-6 mesi. Da Lunedi 14 Febbraio, ore 10.15

Lo scopo del corso è fornire strumenti per praticare durante la quotidianità: mentre si allatta, si passeggia con il piccolo o si gioca con lui sul tappeto.

Le esigenze del bambino vanno rispettate: per garantire il massimo della flessibilità le lezioni saranno sia dal vivo che online, con possibilità di rivedere il corso a casa grazie la registrazione.

Massimo 3 coppie mamma-bimbo in presenza (ampio distanziamento in sala finestrata di 80 mq).

Conduce le lezioni Erika Pizzo, la nostra insegnante di yoga in gravidanza e post parto e di allenamento funzionale.

Se sei interessata a partecipare puoi contattarci per informazioni e prezzi scrivendoci su Whatsapp:

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Archiviato in:eventi conclusi Contrassegnato con: yoga post parto

Diventare madri nell’era della ‘paura di vivere’

20 Aprile 2020 by Erika Pizzo Lascia un commento


In questa clausura causata dal coronavirus, un insieme di frustrazione, paura e isolamento invade un buon numero di persone, e tra queste le più facilmente colpite potrebbero essere le future mamme o le neo mamme.

Vivere l’evento della nascita in un momento simile significa un po’ andare contro la corrente del comune sentire. Per fortuna, mi viene da aggiungere. Ma viverlo senza la possibilità di condividere la gioia e le paure con familiari e amici, in isolamento totale, può in alcuni casi far emergere un senso di inadeguatezza e insicurezza più forte del previsto.

Si spera chiaramente nell’armonia dell’ambiente domestico, ma ciononostante non è possibile sfuggire del tutto alle emozioni che dilagano intorno a noi, assieme al pensiero della malattia e della morte. Emozioni che nell’isolamento del post parto potrebbero facilmente sfociare in depressione e tristezza.

Ragionandoci, non solo come insegnate di yoga in gravidanza, ma anche da donna incinta, mi rendo conto di come questa condizione di apparente maggiore fragilità sia in realtà anche una grande risorsa. Percepire la vita che prosegue nella sua crescita e formazione, apparentemente ignara di tutto ciò che accade fuori, è già di per sé un ottimo aiuto a veder positivo, a pensare al ‘dopo’, a intravedere in quel bambino in arrivo (o appena giunto) l’inizio della ricostruzione di un nuovo equilibrio.

Ma è il tempo propizio per abbandonare la visione della nascita fatta di cuoricini e nuvolette rosa o azzurre che ci propinano normalmente ovunque. E’ il tempo per guardare al parto con occhi diversi, più reali, senza gli occhiali a lenti colorate indossati negli anni ‘80 e mai più tolti.

Non posso infatti fare a meno di pensare anche all’ambivalenza vita/morte ed alla forza delle donne, il loro essere simbolicamente porte di passaggio tra i due mondi.

Penso soprattutto a concetti rappresentati e simboleggiati da varie divinità femminili quali ad esempio: Kali, Iside, Afrodite, Sheela na Gig e tutto l’infinito elenco di divinità femminili dal neolitico in poi. Appartengono ad epoche e culture differenti, ma tutte sono simboli della forza generatrice femminile: sia essa indirizzata a creazione fisica di vita, o a idee, progetti, progressione interiore e personale. (Nota: per quanto questa riflessione sia incentrata sulla gravidanza, in realtà è espandibile facilmente anche a contesti differenti).

Tutte queste divinità rappresentano figure femminili forti, istintive, che generano creazione e rinnovamento, ma al contempo morte e distruzione.

(Nel tantrismo e nello yoga, il concetto si sintetizza in Shakti: il femminile è energia, è la manifestazione stessa a livello universale e individuale).

Inanna Ištar
Inanna Ištar

Prendiamo l’ambivalenza della Dea Kali, ad esempio: in un caso è raffigurata nel gesto di partorire il mondo, mentre nell’altro, più comune e diffuso, è rappresentata nella sua espressione più terrifica. Non esiste il nuovo, se prima non si distrugge il vecchio. Così come non esisterebbe la luce senza il buio. Vita e morte sono legate in modo indissolubile.

Allo stesso modo, la donna incinta si trova a dover creare spazio dentro di sé, ad elaborare vecchi modelli e generarne di nuovi. Il parto stesso è un morire per rinascere: la paura che proviamo in quei momenti è legata inevitabilmente alla paura istintiva della morte/abbandono.

La trasformazione richiesta alla donna in questa fase e la fusione delle due espressioni del femminile, è ben esplicitata in uno dei poemi dedicati alla Dea Inanna-Ištar, una tra le divinità considerate protettrici delle partorienti ed ispiratrice di molti miti di epoche successive:

…Inanna, Regina del Cielo e divinità dell’amore, della fecondità e della guerra, scende alla scoperta delle profondità del Mondo Sotterraneo, dominato dalla sorella. Inizia il suo viaggio riccamente vestita e adorna di gioielli, ma dovrà attraversare sette porte: ad ogni porta le verrà chiesto di lasciare qualcosa. Giungerà così nuda nel mondo degli Inferi, dove verrà maltrattata, tramutata in cadavere e appesa ad un chiodo.

Tuttavia Inanna prima della partenza aveva lasciato ordini precisi ai suoi servitori perché la aiutassero. (…) Così, dopo tre giorni, due creature dal regno del Cielo scesero a loro volta nelle profondità della Terra nel momento propizio: la sorella di Inanna, Regina del Regno degli Inferi, era percossa dai dolori del parto. Le creature portarono sollievo alle sue pene, chiedendo in cambio la libertà della loro regina Inanna.

Inanna attraversò il percorso a ritroso, recuperando ad ogni porta le sue vesti e i suoi gioielli, ma dovette comunque pagare un prezzo per la sua discesa.

La sua integrità ritrovata risulterà rinnovata e arricchita dall’esperienza vissuta.

(Estrema sintesi e semplificazione del poema sumero Discesa di Ištar negli Inferi)

Questi modelli sono poco conosciuti nella nostra società, offuscati dalla sola visione della dolcezza e accoglienza dell’amore materno e femmineo. Ma i due aspetti possono e dovrebbero coesistere in ognuna di noi.

In questo periodo di reclusione e difficoltà personalmente sento molto la necessità di risvegliare quegli istinti forti e decisi. Perché la reclusione non ci trasformi in topi nascosti nella tana, ma sia l’occasione per dedicarci alla scoperta delle leonesse nascoste in noi, pronte a generare e crescere figli capaci di essere costruttori di un mondo nuovo e a gestire in totale autonomia paure e avversità.

Leggere di questi miti e divinità, o meditare su di essi, praticare āsana o prāṇāyāma che lavorino su questo tipo di energia sono alcuni dei metodi a nostra disposizione, offerti dalla pratica yoga, per risvegliare in noi quei lati sommersi.

Al contempo, l’acqua placa il fuoco eccessivo e così altri āsana, altri prāṇāyāma possono aiutare a non esasperarli e a trovare il nostro equilibrio.

Ci saranno posizioni che ci disturberanno. Accade. Non per una fatica fisica, ma per la difficoltà a “stare” in quella data forma corporea. Eppure proprio lì inizia la pratica yoga. In quel disagio. Lo stesso che si prova cercando di concentrarsi sul semplice respiro, finendo completamente altrove con la mente.

Non esiste una soluzione al problema, se non la costanza nel permanere. Prima o poi, qualcosa accade.

Praticare yoga è un po’ come mettersi sul divano con la mano in grembo, in ascolto del bambino: prima o poi, il calcetto arriva. Si tratta di aspettare, pazientemente, con l’attenzione posta nella giusta direzione, senza mai smettere di crederci.

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Archiviato in:Articoli, Yoga, Yoga in gravidanza Contrassegnato con: covid-19, gravidanza, hathayoga, yoga in gravidanza, yoga Novara

La gravidanza non è smart, ovvero l’impazienza della dolce attesa

21 Febbraio 2019 by Erika Pizzo Lascia un commento

Il tuo cambiamento interiore viene negato socialmente. Più che una persona in trasformazione, sei vista come portatrice di un bambino. La maternità è vista come un’interruzione fastidiosa del ritmo di lavoro e come una parentesi inevitabile di passaggio, da chiudere prima possibile.

Verena Schmid, Venire al mondo e dare alla luce

L’opportunità o meno di lavorare fino al nono mese di gravidanza è un tema che ricorre spesso. Senza voler entrare in un dibattito politico/economico che non mi compete, trovo interessante che si parli dei ritmi della gravidanza in questa epoca smart, in cui a volte la sensazione è che non ci sia tempo per attendere 9 mesi un figlio e men che meno rallentare i ritmi.

O almeno questo è ciò che i media e i social in particolare spesso trasmettono.

Che si tratti di lavoro, di uscite con amici, sport o altro poco importa: la tendenza generale è mostrare donne capaci di ‘essere sul pezzo’ fino a pochi istanti prima della sala parto.

Sia chiaro: essere incinta non vuol dire certo fermarsi e abbandonare completamente lavoro, famiglia, interessi… Ma un figlio non stravolge forse la vita, dal momento stesso del concepimento? E questi 9 mesi non dovrebbero essere il tempo giusto necessario per prepararsi a questo cambiamento?

Accade anche nello yoga: i social sono ricchi di foto di donne in avanzato stato di gravidanza in posizioni intense da un punto di vista fisico (soprattutto inversioni, arcuazioni e torsioni), senza alcun adattamento per la loro condizione. In queste foto spesso la pancia appare un elemento utile a sottolineare la scioltezza fisica delle madri e l’alto livello della loro performance. Mi spiace in questi casi costatare come la pratica venga svilita e utilizzata come un ennesimo modo per mostrare come la donna possa mantenersi bella, efficiente, prestante… ‘nonostante’ la maternità.

Mi appare chiaro il perché di questa tendenza, perché anche io stessa ho vissuto queste dinamiche: il cambiamento fa paura. Mantenere le stesse abitudini e gesti del “prima” è un modo per ancorarsi a false certezze nel bel mezzo del travolgente cambiamento. Mantenere una corazza (credendola un salvagente) nel momento in cui l’unica via di salvezza sarebbe al contrario gettarsi nude in mezzo all’oceano.

Nello yoga, per stare in tema, ricordo in me una certa soddisfazione quando mi rendevo conto di riuscire a fare ancora certe posizioni senza cuscini o adattamenti. La gravidanza e il periodo successivo al parto sono stati un’occasione per cambiare rotta: l’esperienza ha totalmente cambiato il mio modo di intendere e approcciare la pratica e seguire ora a lezione le donne in questa fase della loro vita è costantemente uno stimolo di riflessione e di approfondimento.

Quello ‘stato di grazia’ che viene offerto a noi donne è per me la possibilità di rallentare, di allentare i vincoli e la frenesia della vita ordinaria non solo per abituarci ai ritmi del nascituro, ma per poter anche tendere l’orecchio verso quello spazio sospeso, ignoto, che apre le porte ad universi più ampi.

Si possono cogliere molte affinità tra travaglio, parto ed una lezione di yoga: non solo per la ricerca delle posizioni, l’attenzione al respiro, il lasciar andare… ma soprattutto per la ricerca di quello stato meditativo in cui la mente si spegne ed emerge la connessione più profonda con la parte più istintiva di noi stesse.

Il percorso di una donna incinta non è così distante da quello di un praticante yoga: passando attraverso l’accettazione dei propri limiti e resistenze, tentano entrambi di spegnere il ronzio costante della mente, delle emozioni e delle influenze esterne per mettersi in connessione con qualcosa che al tempo stesso li attrae li spaventa: che sia lo “sconosciuto in grembo” o, nel senso più ampio del termine, l’Ignoto, il Divino o il Vuoto, poco cambia.

Questo credo dovrebbe rendere lo yoga diverso da una qualsiasi ginnastica, e offrire a chi già pratica da prima del concepimento una doppia opportunità: non solo ampliare la naturale tendenza all’interiorizzazione delle donne in dolce attesa, ma anche facilitare il loro percorso volto a ridurre o annullare la distanza tra sala pratica e vita.

l’occasione di metamorfosi per la donna è unica e irripetibile.

E, che lo si accetti o meno, nulla potrà davvero più essere come prima.

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